Si chiama effetto derby. È quella cosa che fa dimenticare la netta supremazia della Roma a Milano contro l’Inter, lo splendido 2017 con una sola sconfitta in campionato e la squadra in lotta su tre fronti. Tutto, momentaneamente, accantonato. Nel giorno in cui la Roma giallorossa si lecca le ferite per la sconfitta in Coppa Italia contro la Lazio, si torna a parlare anche di Francesco Totti. Sui social e nelle radio, oltre ad analizzare i perché di un ko inaspettato, il pochissimo tempo concesso da Spalletti al capitano (buttato in campo contro il Torino in campionato solo negli ultimi 7 minuti) diventano argomento di dibattito. Niente a che vedere con quello che si scatenò un anno fa, dopo l’esclusione contro il Palermo, ma in tanti ieri si sono chiesti, con toni pure piuttosto accesi, se Totti non potesse essere messo in campo prima. C’è persino chi paragona i 10’ del capitano (4’ regolamentari più 6’ di recupero) ai 6’ di Rivera nella finale del Mondiale messicano del ‘70, persa contro il Brasile di Pelè per 4-1, ma il confronto è azzardato, nonostante per Roma oggi il capitano giallorosso rappresenti più di quello che Rivera significava per l’Italia 47 anni fa. «È un’umiliazione», si sentiva ieri nelle varie emittenti e pazienza se Spalletti abbia spiegato l’ingresso di Francesco con una pura e semplice motivazione tattica: «Speravo potesse fare una giocata o un tiro dei suoi», ha detto il tecnico direttamente dall’Olimpico.
Per tanti romanisti, visti i rapporti freddi tra i due, non basta. Anche perché chi è entrato prima, Perotti ed El Shaarawy, non ha fatto meglio. Totti, dal canto suo, come fa quasi sempre da mesi, non dice una parola. Affida i suoi pensieri al sito o ai canali social, esce dallo stadio o con i figli o persino con avversari che lo seguono (mercoledì era «scortato» da Felipe Anderson), si limita a foto e autografi, si allena, aspetta con pazienza il suo turno. Sapeva, una volta rinnovato il contratto, che avrebbe trovato spazi ridotti, ma nelle partite decisive sperava di poter dare di più il suo contributo. Figuriamoci contro la Lazio, la rivale di sempre. Al fischio finale è corso negli spogliatoi, anche in questo caso senza aprire bocca. La sensazione è che quando lo farà, dirà la sua sul futuro: smettere e fare il dirigente – ma con che ruolo? – oppure continuare un anno altro. Con la speranza, neppure troppo segreta, di chiudere giocando più di 4 minuti più recupero. Magari già da domani all’Olimpico contro il Napoli (ore 15, arbitra Banti) in una gara che, se vinta, significherebbe andare a + 8 sulla squadra di Sarri e la quasi certezza del secondo posto. Chi tornerà tra i pali è Szczesny. «Ci saranno – le sue parole a Sky – due squadre arrabbiate e verrà fuori una bella partita. Il derby? Abbiamo perso il primo round, ma possiamo ribaltare il risultato e conquistare la finale».
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