La storia parla chiaro: la maglia giallorossa toccata dalla grazia del numero dieci non è più soltanto una maglia, ma una vera e propria bandiera, in cui confluiscono classe e talento, identità e valori. Elementi sublimati dalla figura epocale di Francesco Totti, ma felicemente germinati nella Roma di mezzo secolo fa.
DE SISTI – In giallorosso è cresciuto un giocatore di taglia minuta, ma di piedi buoni e saggezza sterminata: romano, figlio del popolo, Giancarlo “Picchio” De Sisti diventa in breve un punto di riferimento in una Roma in bilico tra grandi ambizioni ed enormi debiti. Sempre più spesso, indossa la maglia numero dieci, che ha già un fascino diverso dalle altre. Nell’estate del 1965, per dare ossigeno alle casse, il nuovo presidente Evangelisti mette in vendita il gioiello De Sisti, scatenando refoli di protesta popolare. “Spareremo dai tetti”, titola provocatoriamente l’allora direttore del Corriere dello Sport Antonio Ghirelli, ma la cessione si realizza e “Picchio” va a fare le fortune della Fiorentina. In viola diventa uno dei “dieci” più forti della sua generazione, ma a 31 anni eccolo di nuovo giallorosso, con il dieci fisso sulle sue spalle ancora per cinque stagioni.
CORDOVA – Per la verità, durante gli anni fiorentini di De Sisti, il numero dei campioni aveva già trovato spalle degnissime, almeno sotto il profilo della classe pura: indolente e lunatico, gran dribblatore ma allergico al gol, Ciccio Cordova produceva calcio d’autore e nelle giornate di vena sapeva trascinare la “rometta” anni Settanta. Quando De Sisti tornò a casa, Liedholm diede a Ciccio la maglia numero quattro e lo arretrò poco. Sembrava un’eresia, ma Cordova in quel 1974/75, baciato da un inatteso terzo posto, fu talmente bravo da debuttare, a trent’anni, in nazionale. Nemico del presidente Anzalone, nel 1976 se ne andò per dispetto alla Lazio, ma per i tifosi anni Settanta è e resta una bandiera.
DI BARTOLOMEI E GIANNINI – Per formazione e caratteristiche, Agostino Di Bartolomei era un saggio “otto”. Accadde però che proprio nell’anno dello scudetto, Liedholm (che a volte sceglieva la numerazione anche su basi scaramantiche) gli affidò la “dieci” pur arretrandolo sulla linea dei difensori. L’esperimento tattico riuscì benissimo e l’immagine di Agostino numero dieci e capitano è una delle icone di quella Roma bellissima e vincente. Numero dieci nell’animo e nel bagaglio tecnico fu Giuseppe Giannini, capitano e bandiera di una lunga traversata nel deserto, tra i trionfi dell’epoca Viola e i nuovi successi dell’era Sensi. Amato e discusso, apprezzato e criticato, a lui comunque si aggrapparono i tifosi nei periodi più oscuri. Nei suoi ultimi anni vide crescere quello che dapprima fu giudicato il suo erede, poi divenne molto di più. Con Francesco Totti, il Dieci giallorosso è volato direttamente nell’Olimpo del calcio e definitivamente nel cuore dei tifosi.