Immaginoso ed emozionante come solo il calcio sa essere. Sembra un film, o forse è una favola. Il ragazzo del ‘99 venuto dalla plusvalenza non la smette più di stupire: finisce in Nazionale senza aver giocato un solo minuto in campionato; esordisce in Champions addirittura al Bernabeu; si conquista il posto fisso in una squadra in crisi di certezze; cresce vertiginosamente tra nuovi, sorprendenti amori e rimpianti e addirittura decide le partite prima in Serie A e poi nell’Europa dei 16. Zaniolo prodigio di personalità e freschezza e allora mi torna in mente il fondo di Giancarlo Dotto che nel periodo di massima tristezza suggerì di ripartire proprio da lui.
Ma non è stagione di gioie piene, questa della Roma: il gol di Adrian Lopez è un silenzio gelido e un sospiro e rimanda la qualificazione al ritorno in Portogallo. La coscienza dei limiti rimane, è sempre presente insieme al senso di vulnerabilità. Eppure non si possono muovere troppi appunti alla Roma all’italiana presentata da Di Francesco: ha dato tutto quello che aveva nelle gambe e nel cuore, talvolta le è mancata la precisione ma non la voglia di vincere – splendido poiché presentissimo e sempre lucido Dzeko, due pali e un assist, che ha ritrovato un senso negli inciampi della difesa di Sergio Conceiçao e nelle ripartenze.
La Roma avrebbe voluto fare tanto, forse tutto, soprattutto nella prima parte: se non c’è riuscita è perché il Porto le ha fatto subito capire che si sarebbe a lungo accontentato del controllo: pressione alta e a tratti altissima, quella dei portoghesi, riduzione delle funzioni di De Rossi (attraverso Tiquinho o Danilo) il quale – giocatore di un’intelligenza sensibile e di un dinamismo ben gestito – ogni volta che ha ricevuto il pallone l’ha mosso con semplicità e precisione. Ormai Daniele è il Mr. Wolf di Di Francesco: risolve i problemi.