La violenta progressione sulla corsia destra che l’ha portato a innescare il gol di Diego Perotti al Real Madrid nell’amichevole di qualche giorno fa. Guardandola con lente d’ingrandimento, la potenza con la quale si è scrollato di dosso un inseguitore tignoso come Casemiro e la precisione dell’assist che ha segato in due la difesa spagnola. Ecco, quell’azione è stata un sollievo.
La ricomparsa di un talento per il quale in tanti lo scorso inverno avevamo usato parole rare, figlie dell’entusiasmo per la rivelazione di una stella, e che altrettanti ci hanno rinfacciato fino alle porte dell’estate, dopo un repentino calo di forma e la punizione comminatagli da Gigi Di Biagio in Under 21 — assieme a Moise Kean — per una serie di ritardi che aveva indispettito i compagni.
La ricomparsa di Nicolò Zaniolo non è stata improvvisa, perché le cronache dal ritiro romanista parlavano da giorni di una rinnovata serietà negli allenamenti — per i quali il ragazzo si è tagliato di sua iniziativa l’ultimo segmento di vacanza — e del buon feeling con Paulo Fonseca (…). Il rinnovo del contratto, che era lungo anche prima, ma a cifre inadeguate per un ventenne di tanta prospettiva, è la pietra angolare di un nuovo futuro.
(…) Da una parte la gente allegra e un po’ frivola, che gode del pallone e se ne lascia trasportare esaltandosi per una giocata, e vivendola come una promessa di gloria; dall’altra il popolo più saggio ma anche un po’ triste, austero nel criticare gli eccessi di entusiasmo e, in senso lato, l’entusiasmo stesso, perché il calcio è una sofferenza a volte piacevole, ma sempre sofferenza. Sui destini di Zaniolo i due eserciti si sono battuti per mesi (…).
La stessa genesi della sua affermazione ha contribuito al dibattito, perché il fatto che Roberto Mancini l’abbia convocato in Nazionale prima del debutto in Serie A ha creato un cortocircuito. C’è chi ha definito addirittura immorale la scelta del commissario tecnico, a fronte dei tanti giocatori che passano la vita in Serie A senza venire considerati (…).
Sappiamo tutto di Jadon Sancho, di Kai Havertz e Callum Hudson-Odoi, ma appena il discorso lambisce un giovane italiano scatta il ritornello del «deve maturare». Certo che deve maturare: ma quando ci sono le doti di base, in campo si matura a velocità tripla.
Occhi ai tempi, allora, perché bruciano. Zaniolo viene chiamato a Coverciano a inizio settembre. «Sfidato» dal c.t., Eusebio Di Francesco ci aggiunge il suo carico facendo debuttare Nicolò prima in Champions League che in campionato, e in uno stadio che fa evidentemente parte della predestinazione: il Bernabeu.
È il 19 settembre. Nel contesto di una sconfitta abbastanza inevitabile (anche se fu l’ultima prestazione decente di un Real Madrid in via di dissoluzione), Zaniolo non se la cava male. Regge il palcoscenico, chiarendo di poter avere un ruolo dentro alla stagione già allora complicata della Roma. Qualche giorno dopo debutta in Serie A, nel finale di una partita facile, 4-0 al Frosinone.
La scalata continua con la prima partita da titolare, contro la Fiorentina l’undici novembre, e decolla con il primo gol, al Sassuolo nel Boxing Day, perché è una rete di tocco — un morbidissimo destro — in coda a uno strappo di pura potenza. È in quel preciso momento che ci si dà di gomito, eccitati dal fatto che il calcio italiano abbia trovato un ragazzo che ha tutto, tecnica e atletismo.
(…) Zaniolo viene anche gufato da un bel po’ di tifosi interisti, perché è umanamente ovvia la loro delusione per aver dato via un simile talento, raddoppiata dal fatto che il giocatore per il quale è stato sacrificato, Radja Nainggolan, sbagli la stagione.
Naturalmente Nicolò non ha colpe — semmai chi l’ha venduto senza capire bene cosa avesse fra le mani — ma questo è un mondo incapace di rosicare in serenità, vive tutto con rabbia. Passerà anche questa: Zaniolo è della Roma ma, con un Europeo in fondo alla stagione e una Nazionale a caccia di rivincite, Zaniolo è di tutti.
FONTE: La Gazzetta dello Sport