Il migliore. Una certezza assoluta li anima reciprocamente; per il talento di Porta Metronia quell’allenatore fuggito da Praga poco più che bambino oggi con la voce graffiata dalle troppe sigarette – è stato il più importante della sua carriera, per il tecnico – quel ragazzino che stava per essere spedito alla Sampdoria da Carlos Bianchi– è stato il miglior giocatore che abbia mai avuto modo di allenare. Si ritrovarono in una mattinata di metà luglio, a Kapfenberg, e subito arrivò l’investitura; fu Zeman a mettere la maglia numero 10 sulle spalle di Francesco Totti, una scelta importante dopo la destituzione del Principe Giannini, una scommessa ampiamente vinta a distanza di vent’anni: il giovane campioncino acquistato da Dino Viola dalla Lodigiani, nel corso delle stagioni è diventato il simbolo della squadra, l’uomo di riferimento, il capitano, la bandiera, l’eterno amore del popolo romanista. Quelle due cifre scelte da Zeman per il giovane attaccante romano – che per gli antichi rappresentavano il simbolo della perfezione – sono diventate la griffe del giocatore giallorosso più amato della storia. «È il calciatore più forte che abbia mai avuto modo di allenare nel corso della mia carriera – sottolinea il tecnico boemo senza indugi – ho avuto modo di avere tanti ottimi giocatori – alcuni sono diventati anche campioni del mondo – ma Totti come calciatore ha qualcosa in più rispetto a tutti gli altri. Non è una questione di gol realizzati oppure di assist per i compagni: sono la visione di gioco, la tecnica che lo portano a essere un giocatore superiore rispetto a tutti gli altri».
Zeman aveva capito sin dal primo giorno di allenamento le potenzialità di un giocatore che nel corso della carriera ha interpretato tutti i ruoli dell’attacco. «Francesco è un giocatore di talento, con una grande carriera davanti – aveva detto il tecnico nei primi giorni di ritiro a Kapfenberg nell’estate del 1997 – per me Totti è stata una piacevole sorpresa: francamente pensavo peggio…». Una leggera stoccata -ironica – piazzata nel modo giusto per stimolare un ragazzo all’apparenza indolente, ma tra i più laboriosi sul campo di allenamento. Non si arriva a 41 anni se non si porta avanti uno stile di vita da professioni sta esemplare. Zeman lo aveva capito da tempo, tanto da fare una vera e propria dichiarazione d’amore in tempi non sospetti. «I migliori cinque calciatori italiani? Totti, Totti, Totti, Totti, Totti». Tuttavia, gli ultimi mesi di carriera del capitano romanista sono stati condizionati dalle scelte dell’allenatore che spesso lo ha lasciato in disparte. «Nessuno dei due ha colpe, il problema non è Spalletti, ma l’organizzazione societaria. Anche se Spalletti nella sua prima esperienza alla Roma è diventato allenatore grazie a Totti, e a un giocatore così gli si deve qualcosa più rispetto agli altri. Non mi è piaciuto che sia stata la società a dare l’annuncio della fine della carriera di Totti alla Roma, semmai lo avrebbe dovuto fare il diretto interessato».
Totti per Zeman è più di un semplice calciatore. «Francesco arriva a fare cose che altri calciatori non riescono neppure a immaginare». Zeman e Totti, un amore a prima vista. «Per me può fare anche il centravanti» sentenziò in quel primo ritiro il boemo, anticipando gli eventi di una decina d’anni. Ora l’attuale tecnico del Pescara vorrebbe rimandare gli eventi, respingendo la chiusura della carriera che sembra imminente. «Francesco può giocare un altro anno ma non lo chiamerei a Pescara, lui appartiene alla Roma – afferma Zeman – finché si sente migliore dei giocatori che vede attorno a sé deve continuare a giocare, quando si renderà conto che gli altri sono più bravi di lui è giusto che smetta. Io non credo che quella contro il Genoa sia la sua ultima partita. Non riesco ancora a immaginare il calcio senza di lui, non ho ancora avuto modo di sentire che lui voglia smettere: prima di lui questa squadra la chiamavano Rometta, da quando Francesco è entrato in scena, è diventata la Roma».