Il maestro ha tanti difetti ma capisce i giocatori prima degli altri. Ne intuisce il talento, li studia, li strapazza e poi li valorizza. Date un’occhiata alla Nazionale di oggi: Immobile, Insigne, Verratti, Florenzi. Tutte sue avventure sfrontate, tutta cera diventata acciaio sotto le sue mani. Florenzi e Insigne domani si sfidano in Roma-Napoli addirittura da bandiere: a dispetto di un’età ancora relativamente giovane – sono tutti e due del 1991, Florenzi è di marzo e Insigne di giugno – sono due simboli di presente e futuro delle rispettive squadre, se non altro perché sono figli del territorio che hanno seguito un percorso simile: si sono allontanati momentaneamente da casa per farsi scoprire più forti e pronti.
BENEDIZIONE – Ieri Zeman ha parlato dei due pupilli, conosciuti in momenti e categorie diversi ma sempre con la stessa fiducia. «Insigne tra i due è quello che mi ha dato più soddisfazioni – ammette – Florenzi invece l’ho allenato meno. Però sono stato io a volerlo a tutti i costi riportare a Roma. E sentivo dire che non fosse adatto a una grande squadra…». Ricostruiamo: era l’estate del 2012, Florenzi aveva vissuto una grande stagione in Serie B a Crotone difendendo come un terzino e segnando come un attaccante (11 gol). La Roma lo aveva ceduto l’anno prima dopo uno scudetto vinto da capitano della Primavera con la vecchia formula della comproprietà, anche se mascherata da prestito con diritto di riscatto, e fu obbligata di fatto a ricomprarlo per 1,25 milioni. A Roma, con Zeman, venne titolare come interno di centrocampo del 4-3- 3 già alla seconda giornata contro l’Inter. E Florenzi che ti fa: pum, gol, il primo in Serie A, per giunta di testa, lui che era il più piccolo della rosa.
AMORE – E a proposito di piccoletti, è vero che «la mia fortuna è stata incontrare Zeman» come ha candidamente confessato Insigne. Ma è altrettanto vero che i 163 centimetri di questo ragazzotto cresciuto a Frattamaggiore hanno contribuito parecchio al rilancio di Zeman: 19 gol in C1 nel Foggia, dove l’aveva portato il fido Peppino Pavone, e poi il fantastico sodalizio con l’altro napoletano Immobile, decisivo per il ritorno del Pescara (e dello stesso Zeman) in Serie A: in quel campionato stratosferico Insigne non segnò soltanto 18 gol ma fece emozionare un’intera tifoseria. Non poteva che rientrare alla base, appena dopo, anche se ha dovuto pazientare tre anni e incontrare un altro stratega del calcio offensivo, Maurizio Sarri, per realizzarsi compiutamente: nel triennio con Benitez, Insigne ha raccolto complessivamente 10 gol in A, con Sarri ha più che triplicato la dote (32) e deve ancora vivere buona parte della terza stagione. Un altro giocatore, in pratica.
DUELLO – Florenzi e Insigne si ritroveranno domani, dopo aver vissuto dolori simili: un ginocchio che salta (nel caso di Florenzi due volte), la risalita e la ripartenza. Sono buoni amici, hanno giocato insieme una finale europea Under 21 in Israele, perdendo dalla Spagna di Isco e Morata, poi si sono frequentati nei ritiri della nazionale maggiore, ma in Roma-Napoli cercheranno di superarsi ognuno sventolando la propria bandiera. Chi vince, Zeman? Pausa. Pensiero. Sospiro. «Sarà una partita decisa dagli episodi – spiega, da doppio ex diplomatico -, forse il Napoli è favorito ma in un contesto così equilibrato possono essere i singoli a fare la differenza». Lui tiferà per la Roma, nonostante il bruciante esonero del febbraio 2013: l’allenatore, Di Francesco, è un altro dei suoi ragazzi.