L’ultima volta che era stato il timoniere dei giallorossi, Nainggolan giocava nel Cagliari (naturalmente gli fece gol) e la Roma veleggiava incongruamente all’ottavo posto in classifica, a 18 punti dalla Juventus capolista. Era il primo febbraio 2013, nel calcio, quasi un’era geologica fa. Ecco, per molto meno, allenatori capaci sono stati dimenticati se non rinnegati; Zdenek Zeman invece no, mai. La corrente di affetto che lega il tecnico boemo al popolo giallorosso è rimasta grande, e tutto questo per motivi che probabilmente affondano le radici in quella innocenza inconscia che ognuno vorrebbe preservare. Ovvero, se esistesse un mondo in cui si può vincere solo giocando in modo spettacolare e senza nessuna necessità di speculare, lì di sicuro Zeman sarebbe venerato come Conte, Mourinho e Guardiola.
E SE VERRATTI… – I proprietari delle squadre di calcio, però, hanno poca voglia per inseguire dentro di loro «fanciullini» pascoliani e affini. Anche a parecchi di quella schiera, però, il boemo piace, perché hanno la certezza che, grazie al suo lavoro, tanti calciatori possono accrescere il proprio valore. E a testimoniarlo c’è anche la Roma, visto che i pochi e burrascosi mesi dello Zeman 2.0 – culminati appunto in quell’esonero di febbraio – hanno consentito comunque al club di andare all’incasso l’estate successiva. A guardare bene, il lavoro del tecnico valse più o meno un ingresso in Champions se si pensa che in cassa arrivarono 76,5 milioni: 30 per Lamela al Tottenham (più 5 di bonus), 31,4 per Marquinhos al Psg e 15,1 per Osvaldo al Southampton (più 2 di bonus). Fatta eccezione per il difensore brasiliano – arrivato a parametro zero – nessuno degli altri due ha più ripetuto le prestazioni fatte in quella Roma pur imperfetta. Strano? Non molto, considerato le caratteristiche del calcio amato dal boemo, che dopo il suo esonero mormorò: «Non saprei perché mi hanno voluto, avevamo idee differenti. Comunque, in tempi diversi, il Foggia e la Roma sono i club che più si sono arricchiti con il mio lavoro». E i giallorossi avrebbero potuto farlo ancor di più se avessero accondisceso a una delle poche richieste di mercato di Sdengo: Verratti del «suo» Pescara. Invece no, costava troppo: 12 milioni. I tempi di Gerson non erano ancora arrivati. Dopo 4 anni, tanta acqua è passata sotto i ponti e per questo il ritrovarsi, lunedì, non sarà poi così polemico. Il Pescara, però, sembra non avere alcuna voglia di fare nuove brutte figure e così il paradosso si nasconde dietro l’angolo: vuoi vedere che quei milioni che fece guadagnare 4 anni fa, adesso il boemo potrebbe sottrarli alla Roma – in chiave Champions – fermandola a sorpresa sulle sponde dell’Adriatico? Difficile, ma a Zemanlandia in fondo, ogni utopia è possibile.