«Arrivo con la consapevolezza di rappresentare un club dalla storia centenaria e con l’obiettivo di fare un qualcosa di gratificante per i tifosi”
Sono state queste le prime parole del nuovo tecnico bianconero Davide Nicola che è stato presentato oggi alla Dacia Arena dal Direttore Generale Franco Collavino e dal Responsabile dell’Area Tecnica Daniele Pradè
“Ci tengo a salutare Julio Velazquez – ha continuato Nicola – perché da allenatore so cosa sta provando in questo momento. Lo ringrazio perché credo, vedendo da fuori, che abbia provato di tutto da un punto di vista tecnico per cercare di ottenere il massimo dalla squadra ed è quello che proverò a fare anch’io”
L’Udinese ha fama di essere una società organizzata e dalla storia importante, ma quando le è stata fatta questa proposta ha ritenuto di avere difficoltà ad accettare? «Chi viene a Udine lo fa per confrontarsi con un’eccellenza, io ho un’enorme voglia di lavorare duramente e allo stesso tempo ho la consapevolezza di farlo con i migliori mezzi a disposizione».
Dando un’occhiata alla rosa a disposizione crede che tre punte di ruolo siano poche? Crede che a gennaio sia necessario un correttivo? «Devo iniziare ad allenare i giocatori, conoscerli nel dettaglio prima di poter dare delle indicazioni. È tanta la fame e la voglia di iniziare ad avere il contatto con loro. La mia intenzione è quella di dedicare il maggior tempo possibile ad ogni singolo componente della squadra».
Ritiene che Lasagna sia più prima o seconda punta? «Secondo me Lasagna è maggiormente indicato a giocare come prima punta, ma in questi termini fino a quando non li avrò allenati non sarò in grado di dare maggiori informazioni in tal senso».
Qual è il suo obiettivo e soprattutto cosa le ha chiesto la società? «La società è stata molto pratica: l’obiettivo primario è quella di uscire dalle sabbie mobili della zona retrocessione. Io vado oltre e credo di dover consolidare un gruppo e creare i presupposti per strappare il 100% da tutti i giocatori, ottenendo il massimo dagli interpreti che scenderanno in campo».
La preoccupa il fatto che questa rosa sia forse troppo giovane e poco abituata a lottare per la salvezza? «Un professionista, arrivato all’eccellenza della serie A, non può considerare un alibi il fatto che possa non mantenere la categoria, ma allo stesso tempo uno dei miei compiti sarà quello di renderli consapevoli delle potenzialità che hanno a disposizione».
Come sarà affrontare subito la Roma con pochi giorni a disposizione per preparare l’incontro? «L’avversario non si può scegliere pertanto il nostro obiettivo sarà quello di essere competitivi anche con chi è tecnicamente più forte di noi. Io mi concentro solo su quello che posso controllare e pertanto dovrò ottenere il massimo da chi scenderà in campo sabato prossimo».
L’Udinese anche quest’anno si è presentata ai nastri di partenza del campionato con l’idea di intraprendere una strada nuova con un allenatore giovane dalle idee nuove. Crede che quest’idea debba essere messa da parte oppure si può ottenere la salvezza portando anche nuove idee nel modo di giocare? «Nel campionato di serie A è difficile conquistare qualcosa senza produrre. Serve però avere la capacità di lettura della partita mantenendo un equilibrio fra i reparti e nelle singole situazioni che si presentano. La difficoltà sta nella continuità delle prestazioni che è la prima cosa che serve per ottenere un risultato. Ciò che chiederò ai miei giocatori, perciò, sarà di migliorarsi continuamente per ottenere le migliori prestazioni possibili».
Crede che il ritrovare altri elementi dell’area tecnica che erano già con Lei in passato possa essere un motivo ulteriore per fare bene? «Di certo ritrovare persone con le quali ho già collaborato in passato mi permetterà di interagire con maggiore empatia».
Lei ovviamente deve conoscere la squadra. Si è fatto comunque già un’idea di chi possa essere il leader dello spogliatoio che potrà fungere da intermediario fra lei e il resto dei giocatori in campo? «Ogni giocatore ha le sue qualità e pertanto credo che il concetto di leadership sia da allargare a una serie di qualità: da quella tecnica a quella interpersonale nel saper approciarsi al meglio con il resto dello spogliatoio. La qualità che secondo me conta più di tutte è la leadership del gioco sul campo. Integrare culture diverse appartenenti a giocatori che provengono da campionati diversi non sarà facile. Sono però difficoltà che alla lunga ci possono arricchire».
Crede che Lei con il suo carattere, la sua forza e la sua tenacia riuscirà a trascinare un gruppo che forse attraversa un periodo di fragilità soprattutto mentale? «Sono straconvinto che solo la dedizione e il lavoro mi potranno portare a ottenere qualcosa di importante. Superare il momento di difficoltà con tanto lavoro e la dedizione sarà l’unico modo per uscire dalla situazione che la squadra sta attraversando».
Lei ha già allenato Mandragora. Lo considera più una mezzala o un centrocampista centrale? «Mandragora è un giocatore dalla grande personalità che io a Crotone utilizzavo come centrale in un centrocampo a tre. Possiede una grande cultura del lavoro, in nazionale ha giocato molto spesso come mezz’ala, ma io ritengo che lui possa giostrare in tutti i ruoli del centrocampo».
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