Una settimana intera (in realtà è un periodo molto più ampio) con il dubbio. La guardo? Non la guardo? La guardo, è prima di tutto una partita decisiva. Poi, dai, ormai sono grande. Mi sono preso responsabilità maggiori nelle mie cose. Poche, ma maggiori. Già, sono grande. E dopo questo Roma-Genoa lo sarò ancora di più.
E’ come se un pezzo della tua infanzia, della tua giovinezza e della tua adolescenza si chiudesse. E’ come se il campione diventasse solo uomo, costringendo il ragazzino che lo dichiara oggetto della propria smisurata ammirazione a fare altrettanto. Ci sono cose più importanti, è vero. Ma ci sono anche radici che non possiamo spezzare. Che ci tengono stretti a quello che ancora fa emozionare il bambino che è in noi. E’ l’errore perdonabile di quantificare la propria esistenza anche attraverso sentimenti laici, di avere una parentesi personale che ha bisogno di nutrirsi di emozioni profane. E’ come se stasera anche quel bambino, quello che è in noi, diventasse un po’ più grande.
E’ un pezzo di quella parte di vita spensierata, quella che rotolava veloce come un pallone, che si compie. E’ una situazione strettamente esistenziale di cui abbiamo rinviato l’idea per troppo tempo. E’ un conto aperto con noi stessi prima che con la passione per il calcio e più nello specifico per i colori giallorossi. Non si tratta solo dell’addio di un calciatore. E’ che ogni gol, ogni assist, ogni immagine, ogni colpo di tacco, ogni pallonetto, ogni sorriso, ogni esultanza è associabile a un momento preciso della nostra personale storia.
“Perché non basta stare insieme per dire che va bene, che qualcosa ci trattiene ancora qui. Ormai parliamo al singolare, e tutto ci fa male” cantava Nek nella sua Parliamo al singolare. Ma questa non è una storia d’amore che finisce. Perché troppe parti sono coinvolte. E sono tutte troppo coinvolte. Certo, il rapporto non sarà più diretto e continuo come è sempre stato. Le circostanze saranno diverse e sarà difficile accettarle. Ma l’amore continuerà, intatto e intangibile.
“Non qui, non purtroppo con te”, i versi delle canzoni sono scritti appositamente perché ognuno ne faccia l’uso che sente più suo. E’ una decisione contrattuale, una scelta aziendale logica e dannatamente insindacabile. E’ la natura che comanda, è una condizione biologica da cui nemmeno uno con quelle capacità può difendersi. Ma i sentimenti non hanno età né tantomeno scadenza. A noi, in fondo, bastava sapere che c’era.
Adesso farà altro. Potrebbe addirittura continuare a giocare da un’altra parte. E questo potrebbe contribuire a diluire il dispiacere, a nascondersi dentro l’idea che comunque lui sarà ancora su un campo di calcio. Oppure, in base alle imponderabili reazioni dell’animo umano, aumenterà il nostro rammarico. Perché il calciatore, almeno quello, lo sentiamo di nostra esclusiva proprietà. Farà quello che riterrà più giusto. Ma non qui, non purtroppo con noi. O almeno non in campo, che è il posto che più gli compete.
La conferenza stampa prepartita di Luciano Spalletti, nello specifico della parte dedicata a lui, non sembrava indossare un vestito adatto a quella che tutti hanno chiamato (non mi spiego ancora perché) festa. Però, come ogni personalità dominante, è innegabile che sia stato protagonista delle vittorie e di conseguenza protagonista delle sconfitte. E’ stato valore aggiunto e in certi casi, purtroppo, anche limite a una crescita che sarebbe stata nelle nostre possibilità. Ci dà fastidio sentirlo dire perché, per buona parte, è colpa nostra. Complici consapevoli dell’amore che questa città riserva ai suoi figli.
Lacrime tante. Alcune dovute ideologicamente anche alla partita in sé (risultato raggiunto, ma complimenti al Napoli che lo meritava tanto quanto noi e forse anche di più) ma questo è un altro discorso. Penso di aver pianto anche stanotte nel sonno senza accorgermene. Anche mentre questo pezzo si scrive praticamente da solo. Perché non sono nelle condizioni psicofisiche di esprimere concetti compiuti e interessanti se non seguendo l’istinto. Lacrime di cui ti chiedi il perché mentre vedi lui che sorride, come ha sempre fatto in questi anni. Poi però cede, l’emozione è troppa.
Quindi si, parliamo al singolare. Nella contrapposizione semantica del verbo usato al plurale che ci rappresenta un po’ tutti. Ma parliamo di quella parte che rimane, che rimarrebbe comunque, che non abbiamo mai saputo troppo scindere da lui negli ultimi anni ma per scelta nostra. Parliamo della Roma. Quella che continuerà anche dopo il più grande calciatore della propria storia. Quella che c’era anche prima di lui. Quella che per più di 24 anni ha fatto un viaggio meraviglioso cullata dalle giocate del suo Capitano, e che adesso guarderà avanti senza di lui. Mentre lui, forse, farà la stessa cosa. Oppure continueranno insieme, continueremo insieme. Solo rivedendo in piccola parte i ruoli.
Perché di certo si potrà fare tutto anche senza Francesco Totti. Si potrà fare e si farà. Ma come?