Il 17 giugno 2001 è tutti gli altri giorni dopo in cui tutta una città è scesa in strada e in strada c’è rimasta fino allo sfinimento per godimento. Trovatemi, in qualsiasi ambito, qualcosa di simile. Roma nel 2001 era a fuoco. Era rossa. Le bandiere avevano per lo più e soprattutto quella tonalità rispetto allo scudetto del 1983 che invece fu più giallo, più luce. Forse perché quella vittoria era anche una risposta a ciò che era successo l’anno prima, e quindi si colorò più di rabbia.
Furono giorni di notti insonni ma non di utopie, di feste sui marciapiedi, di riti pagani, traffico bloccato, strade chiuse, Roma città aperta a Roma e isola pedonale di se stessa. Tutte le strade partivano e portavano dove stavamo. Non volevamo andare da nessuna altra parte. Lì e in quel momento avevamo tutto. Eravamo noi. Non solo i campioni dell’Italia, ma semplicemente romanisti. Per me il 17 giugno è questa cosa qui, perché la Roma è questa cosa qui. Qualcosa di ribelle, refrattario alla modernità, al tempo, alle mode, alle convenzioni, libero e quindi assolutamente partecipativo. Condivisione sociale, prima ancora che social.
Gli scudetti che ci riportano in piazza servono solo a ricordarcelo (per chi se lo fosse scordato). Personalmente non trovo nemmeno così giusto volere “più bene” a una squadra perché vince: e quella di Ginulfi? E quella di Piacentini? Quella di Budapest? Che non je voi bene? E a quella che retrocesse? Sapete che giorno era quando la Roma è andata in B? Il 17 giugno, del 1951.
Cinquant’anni prima. Oggi, che è il giorno della Roma Campione. Come a dirti veramente che vinca o che perda essere della Roma è un’altra cosa, il giorno più lungo e quello più bello, l’inferno e il paradiso ti rimbalzano addosso rispetto a quello che sei e che ti fa romanista ogni giorno.
Quel 17 giugno del 1951 al teatro Sistina Renato Rascel fece il suo ingresso sul palco e disse: «Signori, da questo momento la Roma è in serie B: ma la Roma non si discute si ama». Cinque giorni dopo per le strade del centro sfilò un corteo di tifosi romanisti; portavano un grande striscione che recitava: «La Roma è sempre la prima squadra del mondo». In qualsiasi giorno dopo e in qualsiasi nostro giorno: la rivoluzione è essere romanisti sempre.
FONTE: asroma.com – T. Cagnucci