Il dieci, nel calcio, non è un numero come gli altri e non lo sarà mai, perché il dieci va sulle spalle di chi vede il calcio in maniera diversa, come un’arte più che un gioco. Indossare la maglia numero dieci significa accettare l’onere di aver sempre gli occhi di tutti addosso per poter avere l’onore di farli brillare.Alessio Riccardi è un dieci, con un numero ha scelto anche il suo destino.
Perché sono dieci anche gli anni che sono passati da quando ha messo piede a Trigoria. Ed ora che ha già provato il sapore dolce del debutto all’Olimpico, ha capito una volta in più che vestire la maglia della Roma è l’unica cosa che vuole veramente.
Ricordi il tuo primo giorno a Trigoria? “Sì, il primo giorno me lo ricordo, perché ero molto piccolo e venendo a Trigoria continuavo a dire a mia madre che era uno scherzo, pensavo mi prendesse in giro. Quando poi sono arrivato è stato fantastico. In questi dieci anni penso di essere molto cambiato, sono entrato che ero un bambino e adesso sono maggiorenne, quasi un uomo. La Roma mi ha insegnato tantissime cose, mi ha aperto gli occhi. Anche tecnica-mente sono molto diverso rispetto ad allora. I primi anni di scuola calcio ti servono per imparare i dettagli del gioco del calcio. Fin da bambino la società cerca di ti-rare fuori il talento dai ragazzi”.
Ti piace più fare gol o assist? “L’ultimo passaggio per il ruolo che ho è molto importante, però anche fare gol per un centrocampista, trequartista… ha il suo peso. Se sei un centrocampista offensivo e sei davanti alla porta, fare gol è molto importante, un sensazione bellissima!”.
Qual è il tuo sogno nel cassetto? “Spero di vincere con la Roma. Sono arrivato sempre lì, vicino, e poi vedere gli altri che alzano le coppe davanti a te. Spero quest’anno sia la volta giusta, penso di meritarmelo! Dopo tre finali perse è arrivato il momento di vincere”.
Che emozione è allenarsi sul campo B, quello della prima squadra? “L’ho visto un migliaio di volte, quando ero bambino e mi allenavo più tardi, dopo la scuola, passavo e vedevo i grandi allenarsi, era bellissimo. Poi ritrovar-ti in quel campo, in mezzo a tanti campioni ad allenarti, le prime volte ammetto che avevo una certa ansia. Ti trovi più piccolo in mezzo a giocatori di alto livello e ci sta il timore di fare un passaggio sbagliato. Ma ho avuto la fortuna di trovare sempre giocato-ri esperti che mi hanno aiutato”.
Senti la pressione di essere nella tua città e nella società per cui fai il tifo? “È una piazza difficile ma non sento ancora tutte queste pressioni. Sento l’appoggio dei tifosi e mi fa piacere, però l’importante è rimanere la persona che sei, e giocare sempre con la voglia di indossare questa maglia”.
Cosa ricordi dell’esordio in Coppa Italia contro l’Entella? “Quando ho debuttato in prima squadra è stata un’emozione bellissima. Per me, cresciuto nella Roma, entrare all’Olimpico, è il sogno di tutti i bambini che giocano a calcio nella Roma. Poi per me che sono romano e tifo moltissimo la Roma ancora di più”.
Che estate hai passato? “Dall’ultima partita giocata lo scorso anno non pensavo altro che all’inizio del campionato. Ero sicuro di tornare Trigoria. È vero, è stata anche un’estate con tante voci, però in cuor mio ho sempre pensato che sarei tornato qui. Mi ha fatto molto piacere leggere che si parlava bene di me, i messaggi di affetto da parte dei tifosi mi hanno fatto capire che ci teneva-no a me. Non ho ancora dimostrato niente ma mi hanno fatto tanto piacere”.
Chi è il tuo idolo? “Francesco Totti. L’ho vissuto da vicino ed è stato fantastico, per me tifoso della Roma, poterlo ammirare da vicino. È stato un giocatore importantissimo per la Roma. Ha avuto un ruolo simile al mio all’inizio e poi con il tempo ha avanzato il suo raggio d’azione. È lui il mio idolo”.
FONTE: Match Program – M. Paonessa