«Prima della partita — ricorda Ilario Castagner, il 23 marzo 1980 allenatore del Perugia — mi si avvicinò un ufficiale, non ricordo se di Polizia o Guardia di Finanza, e mi comunicò che al termine dell’incontro avrebbe dovuto parlare con alcuni dei miei giocatori».
Dopo quell’avvertimento negli spogliatoi, cosa successe in campo in quel Roma-Perugia 4-0? «Sinceramente, nonostante la richiesta inusuale, non avevo minimamente intuito quello che stava per accadere, Qualcosa cambiò durante la partita: la squadra era stranamente assente e i giocatori sembravano imbambolati. Nell’intervallo, quando eravamo sotto di un gol, conob0bi il perché».
Qual era il motivo? «I calciatori della Roma sapevano già che ci sarebbe stato qualche arresto nel Perugia e ce lo fecero sapere. “Mister, gli avversari ci hanno detto che arresteranno un paio di noi a fine partita”, mi riferì la squadra tra il primo e il secondo tempo. E così fu.
Cosa le comunicarono al termine della partita? «Al rientro negli spogliatoi lo stesso ufficiale di prima mi disse che doveva prelevare due calciatori e consegnare un ordine di comparizione a un altro. Aggiunse anche che sarebbe avvenuto senza dare nell’occhio. E così, invece, non fu».
Manette per Della Martira e Zecchini, mandato di comparizione per Paolo Rossi: come cambiarono le cose per il Perugia e il suo tecnico? «In un solo giorno vennero bruciati sei anni di lavoro, iniziati con una promozione e sfociati nell’accoppiata secondo posto-imbattibilità del ‘78/79. Affrontammo la Roma da terzi in classifica, poi ci crollò tutto addosso e ci salvammo solo perché avevamo già messo un bel po’ di fieno in cascina. In estate andai alla Lazio, assolta dalla retrocessione in primo grado. Invece dopo tre giorni di ritiro, quando arrivò la sentenza d’appello, mi ritrovai in B».
Aveva mai sospettato, prima di quella domenica, dei suoli giocatori? «Nessun sospetto. Purtroppo si scoprì che qualcuno aveva persino preso dei soldi. Paolo Rossi, però, non c’entrava niente: venne messo in mezzo solo perché era un nome grosso»
FONTE: La Stampa