Non ci sarà nessuna deadline al 18 agosto per richiedere il rimborso di biglietti e abbonamenti allo stadio per le partite non giocate, o giocate a porte chiuse, a causa del Coronavirus. La rigida scadenza prevista dall’art. 216 del decreto Rilancio non si applica alle richieste di rimborso dei tifosi ma solo alla fruizione di servizi sportivi quali palestre e piscine.
A rassicurare gli spettatori, sempre più disorientati dal procedere in ordine sparso da parte delle società calcistiche, è il ministero dello sport, guidato da Vincenzo Spadafora, che ha fatto filtrare un chiarimento che fuga ogni dubbio: le richieste di rimborso, disciplinate dal decreto legge Cura Italia (art. 88 del dl 18/2020), potranno andare avanti, anche oltre il termine del 18 agosto, proprio perché quest’ultimo non c’entra nulla col rimborso di biglietti e abbonamenti ma riguarda una fattispecie diversa.
Una buona notizia per gli appassionati che non dovranno affrettarsi a inviare Pec o raccomandate entro martedì prossimo, nella speranza che nelle prossime settimane anche le società tutt’ora inadempienti si mettano in regola. Dopo mesi di incertezze sulla regolare ripresa dei campionati, archiviata l’ipotesi di una parziale riapertura degli stadi e a stagione ormai conclusa, i club continuano a non avere una linea di condotta comune.
La gran parte delle società di serie A e B (Napoli, Juve, Roma, Inter, Milan, Fiorentina, ma anche Spal, Bologna, Brescia e da ultimo il Pescara) hanno avviato tra maggio e agosto le procedure di rimborso. Hanno informato i tifosi via mail o tramite sito web sulle modalità con cui richiedere i voucher spendibili nella prossima stagione. In alcuni casi (il Napoli) hanno addirittura caricato sul sito istituzionale del club un video tutorial su come inoltrare le richieste direttamente tramite l’applicativo messo a disposizione dalle società di ticketing (www.rimborso. info, per esempio, è la piattaforma web predisposta a questo scopo da ‘ficketone).
Tutto questo, come detto, solo nelle Serie maggiori. Dalla Lega Pro in giù, tranne qualche eccezione (il Cesena ad esempio) tutto tace. A dimostrazione di come il tema dei rimborsi si stia rilevando piuttosto ostico soprattutto per i piccoli club che, non avendo introiti da diritti tv, si reggono principalmente sugli incassi al botteghino messi in ginocchio dal lockdown.
Le società procedono in modo contraddittorio e anche quando i proprietari sono gli stessi, le policy sui rimborsi variano sensibilmente. È il caso del Napoli e del Bari, che, com’è noto, appartengono entrambi alla Filmauro della famiglia De Laurentiis. Ma mentre papà Aurelio a Napoli non ha lesinato indicazioni ai circa 15 mila abbonati per richiedere il rimborso tramite voucher dei biglietti (come previsto dal Cura Italia), il figlio Luigi a Bari, chiuso in silenzio dalla sconfitta nella finale playoff per la promozione in serie B, tace.
Con buona pace degli oltre 7 mila abbonati biancorossi che accusano la proprietà di fare «figli e figliastri» rispetto ai tifosi napoletani. Il Codacons, che già non vede di buon occhio il rimborso tramite voucher (al pari dell’Antitrust e della Commissione Ue) sta alla finestra ma ribadisce: le società devono rimborsare e contro chi non lo farà è pronta una class action.
FONTE: Italia Oggi – F. Cerisano