Gabriel Omar Batistuta torna a Roma e lo fa per presentare il docufilm sulla sua vita intitolato ‘El numero nueve’, diretto da Pablo Benedetti e prodotto da SenseMedia. Ieri il Re Leone è stato ospite alla Festa del Cinema dove è stato proiettato in anteprima il film di fronte a un pubblico di oltre 200 ospiti, tra cui Carlo Verdone, Damiano Tommasi e Lorenzo Dall’Ari responsabile editoriale della Lega di Serie A che ha premiato l’attaccante.
Prima della proiezione del film, Verdone e Batistuta sono saliti sul palco per raccontare aneddoti del passato e approfondire la vita del centravanti: «Nonostante Gabriel abbia il cuore fiorentino noi romanisti lo amiamo. Gli infortuni della Roma di oggi? È l’unica squadra che ne ha così tanti, bisogna indagare e andare avanti con il cuore, noi tifosi ci metteremo il fiato», ha detto l’attore romano.
Il film di Batistuta è un racconto della sua vita attraverso le città che hanno segnato la sua storia, l’ultima sfida che sta affrontando il campione argentino è contro il dolore che gli provocano le sue caviglie malridotte senza più cartilagine (cammina con le stampelle e indossa una protesi sulla caviglia sinistra), che lo hanno indotto a chiedere a un suo amico medico di amputarle: «Voglio far capire ai giovani che con il sacrificio tutto è possibile, anche nei momenti di difficoltà. Io sto attraversando il mio percorso fatto di dolore e operazioni, ma non ho mai perso la speranza».
Nel docufilm c’è la gioia per i traguardi raggiunti in carriera, ma anche il Batistuta privato in cui si racconta come padre, marito, figlio e amico. Il rapporto con la moglie Irina, gli inizi in Argentina e poi il l’approdo in Italia.
Un uomo che ha lasciato il segno anche nella Capitale dove ha trascinato la squadra giallorossa verso il suo terzo scudetto al fianco di Totti: «Francesco è stato nel calcio per oltre vent’anni, ed è stato Totti. È dura capire che non lo sei più. Con lui alla Roma potevo vincere altri due o tre scudetti. Dzeko? Ha tutto per rifare quello che ho fatto io, ma da solo è dura raggiungere i traguardi. Deve essere accompagnato come si deve. De Rossi è l’unico che è passato da un calcio di professionisti a uno meno blasonato. È per questo è stato accolto come un eroe».
FONTE: Il Messaggero – G. Lengua