Fonseca di rientro nella Capitale dopo le vacanze in Ucraina prima e Portogallo poi è saldo sulla panchina giallorossa. Confermato dal vertice di Londra della scorsa settimana, quando il Ceo Guido Fienga ha incontrato Ryan Friedkin per un primo punto gestionale, il tecnico portoghese si appresta a condurre per il secondo anno consecutivo la squadra giallorossa. La stagione che si è appena conclusa, lo sa anche Fonseca, è stata al di sotto delle aspettative del club, che aveva fissato nel quarto posto – cioè la porta principale per l’accesso alla prossima edizione della Champions League – obiettivo a cui tendere attraverso il campionato e che la Roma aveva raggiunto intorno a Natale, prima che, come spesso è accaduto storicamente a chi indossa la maglia giallorossa, ci fosse il crollo di inizio anno.
La diffusione della pandemia da coronavirus ha fatto il resto. Prima bloccando la cessione societaria, concretizzatasi solo in piena estate, poi costringendo il calcio mondiale al più lungo stop forzato della storia in tempi di pace. Alcune crepe si erano manifestate però anche prima dell’esplosione del Covid-19, perché le tensioni con il direttore sportivo che fino ad allora era stato il collaboratore più vicino per Fonseca e l’uomo più vicino al prato di Trigoria, risalgono già all’intervallo di Sassuolo-Roma, 1° febbraio 2020. Da lì in avanti Gianluca Petrachi si è allontanato dalla società e dal tecnico e Fonseca è rimasto solo, di fatto. E solo Paulo non vuol rimanere più, questo è certo.
E se i risultati anche in Coppa Italia, dove la Roma è uscita davanti al primo scoglio importante (la Juve poi finalista e campione d’Italia), e in Europa League, dove Fonseca e i suoi sono stati eliminati dalla vincitrice dell’edizione della coppa, ma davvero in malo modo (e quella partita ha pesato molto nei giudizi proprio sul tecnico), sono stati deludenti, un finale di campionato col vento in poppa ha consentito alla Roma di qualificarsi direttamente per la prossima edizione dell’Europa League. Il minimo sindacale, davvero.
FONTE: Il Romanista – G. Fasan