Il riservatissimo finanziere romano da vent’anni di stanza a Londra, tra i più apprezzati bankers della City, cuore romanista, anima sportiva e un tocco da fuoriclasse per gli affari che aveva spinto il Corriere della Sera a definirlo “Tra i cavalieri italiani della finanza globale”, vorrebbe sciogliersi a parlare della sua Roma, ma in attesa che l’amico Dan Friedkin costruisca la squadra per vincere, prova ad indicargli la strada firmando di suo pugno una delle imprese più sensazionali del mondo del calcio. Sì perché Alessandro Barnaba, classe 1973, insieme ai suoi partner del fondo Merlyn Advisors è il proprietario del Lille neo campione di Francia, la squadra che a dispetto di ogni pronostico ha appena clamorosamente negato al Paris Saint Germain la possibilità di affiancare il Saint Etienne a quota dieci titoli francesi (il Psg ne ha vinti nove, di cui sette negli ultimi nove anni). Ma Barnaba è anche al centro di tante decisioni cruciali della As Roma da qualche anno a questa parte, dai tempi in cui con la banca d’affari Jp Morgan collaborava con Jim Pallotta per alimentare il progetto finanziario del club e dello stadio, fino a diventare il mediatore della trattativa che ha portato Dan e Ryan Friedkin ad acquistare la società. E oggi è diventato una sorta di advisor personale per Dan Friedkin, con cui peraltro condivide l’abitudine ad una certa riservatezza di fondo sulle questioni professionali. Per una volta però ha accettato di parlare di calcio con un giornale che in qualche modo tocca le corde del suo cuore sportivo. Per parlare certamente del Lille, ma non solo.
E dunque complimenti. Ma come avete fatto con il Lille a battere il Paris Saint Germain? «Non lo sappiamo bene neanche noi (sorride, ndr). Ma ci siamo riusciti. Io ho capito che ce l’avremmo veramente potuta fare a cinque giornate dalla fine, quando perdevamo a Lione 2-0, abbiamo rimontato e al gol del 2-2 i nostri sono corsi in due per recuperare la palla e rimetterla subito al centro. E infatti abbiamo vinto 3-2. Quello è stato un segnale di grandissima consapevolezza». (…)
… E poi avevamo un super allenatore come Christoph Galtier che è quello che ha fatto realmente la differenza in campionato perché è stato in grado di tirar fuori dai ragazzi il 100% delle loro potenzialità. Anche quando ha dovuto mettere in panchina giocatori di primo livello non ha mai scontentato nessuno. È un uomo schivo, ama parlare chiaro, è un marsigliese che parla anche un po’ di italiano perché ha giocato a Monza. Non ama particolarmente i riflettori, ha fatto la gavetta vera, tanti anni al Saint Etienne, ha grandissime doti umane, dà tutto quello che ha sul campo e alla squadra».
È un tecnico che piace molto ai club italiani… «Lo capisco. Oggi sente di aver chiuso un ciclo, ma io ancora spero che decide di riaprirne un altro con noi. Si è preso qualche giorno di pausa come era normale che fosse. Se resta con noi ne saremo felicissimi. Se deve lasciarci, immagino però che resterà in Francia. All’estero lo vedrei più in Premier che in Italia».
A chi somiglia, se dovesse indicare un tecnico che conosciamo meglio?
«Difficile, direi una sorta di Mazzone giovane». (…)
A proposito di giocatori. Tra i migliori della stagione del Lille c’è sicuramente Renato Sanches, uno che è stato più volte accostato alla Roma. «Voi sapete molte cose di mercato, sicuramente più di me. Indubbiamente Renato Sanches è un giocatore che piace a diverse squadre, in più è anche portoghese, una lingua che oggi alla Roma va per la maggiore. Detto questo però sul tema so poco. So certamente che Renato Sanchez è un buon giocatore e quando sta bene è in grado di fare la differenza… So anche che difficilmente le società francesi possono competere, Psg a parte, con le società più importanti degli altri campionati». (…)
Questo è lo spunto per parlare anche un po’ di Roma. A Trigoria saltano più muscoli che grilli d’estate. Dia qualche consiglio al suo amico Friedkin… «So che ci stanno lavorando. Per me è uno dei più grossi misteri da capire. Speriamo che Mourinho sia in grado di metterci le mani».
A proposito… Mourinho è un colpo che ha stupito tutti. Lei sapeva qualcosa? «Macché. Non ne sapeva niente nessuno. L’unica cosa che posso dirle è che Mou è una fissa di Dan da tempo».
Questa è una notizia… «Le confesso che quando in passato ci siamo trovati a parlare di questioni calcistiche, era rituale che a un certo punto Dan dicesse: “In questa situazione uno come Mourinho che farebbe?”. Appena hanno saputo che era stato licenziato devono averlo contattato». (…)
Questa è bella. Dimostra anche che mister Friedkin non è così digiuno di calcio come si dice in giro… «Io dico solo una cosa. Dan e Ryan Friedkin non hanno acquistato la Roma come possiamo aver fatto noi attraverso il fondo con il Lilla, non hanno fatto un’operazione finanziaria comprando un asset per rivenderlo a breve. Lo testimonia la loro storia di imprenditori. Loro hanno comprato la Roma perché vogliono vincere con la Roma. E infatti si sono praticamente trasferiti a Roma e adesso hanno assunto Mourinho. Non è un caso. La Roma non è un capriccio per loro. Quando in passato gli è stato proposto di rilevare qualche squadra della Premier, senza che faccia i nomi, la loro risposta è stata secca: “Noi vogliamo la Roma”».
La trattativa con Pallotta è stata lunga e a tratti aspra… «Ma mi consenta di non parlarne. So che Jim è anche rimasto male con me di qualcosa, a me dispiace a livello personale, anche perché poi la pandemia ha reso tutto più complicato, ma Dan ha voluto fortemente la Roma e alla fine l’ha presa».
C’è il tempo per un’ultima cosa. Ma può essere mai possibile che la prospettiva stadio non li entusiasmi? «Sono imprenditori e sanno benissimo che lo stadio è un valore fondamentale per un club che voglia affermarsi nel calcio di oggi. È assolutamente una priorità. Ma hanno ereditato una situazione complicata legata al vecchio progetto. E finché non si risolve la questione Tor di Valle non sono liberi di fare quello che vogliono. A Tor di Valle i conti non tornavano più. Pallotta in pratica se l’è trovato in dote con Unicredit, fu trovata una strada che poteva funzionare con il primo progetto. Ma la battaglia politica che ne è seguita che ha fatto lievitare i costi infrastrutturali e la pandemia che poi ha distrutto il piano del business park associato allo stadio hanno fatto cambiare completamente lo scenario negli anni e alla fine il progetto è diventato, a nostro giudizio, completamente insostenibile».
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco