«Sono diabetico, all’inizio è stato difficile ma poi sono riuscito a conviverci e ho vissuto con il diabete quasi tutta la vita perché ce l’ho da quando avevo quattro anni. Devo fare attenzione, controllare gli zuccheri, la glicemia e fare una cosa e un’altra. Non ho una dieta particolare ma devo controllare tutto un po’ di più rispetto al normale. Ci sono cresciuto così, per me è normale».
Per lui, Borja Mayoral è normale, ma la sua splendida normalità è un esempio e, questo sì, un messaggio vero per tante persone che soffrono dello stesso problema: non solo ci si convive, ma ci si può diventare anche attaccante del Real Madrid e della Roma. Questo è adesso Borja Mayoral, anni 23, numero 21, ed è qui per noi del Romanista. “Borca” è il centravanti della Roma fino a quando almeno non tornerà Edin Dzeko, poi si vedrà. Intanto 11 gol li ha fatti.
«Quello è il mio ruolo, attaccante, prima punta, al centro dell’attacco. Nel Castilla è vero che ho giocato anche esterno ma perché c’era Mariano avanti, e io mi sono spostato a sinistra. Ma mi esprimo meglio davanti».
A Firenze, e anche col Milan, però non ti sei espresso al meglio… «Dici perché non ho fatto gol? Io sto bene e mi sento bene. Ero un po’ stanco dopo la partita contro la Fiorentina ma ora sto molto meglio e sono pronto a giocare se il mister lo vorrà. Quello che conta, molto più dei gol, è stato tornare alla vittoria dopo Benevento e Milan. L’importante è la squadra, esserci per la squadra, nella partecipazione della manovra, non il sottoscritto».
Che all’inizio ha avuto qualche difficoltà…. «All’inizio le partite per me erano molto più difficili di adesso. Credo sia normale che io facessi fatica nel calcio italiano. In Italia i difensori ti stanno sempre addosso, non hai spazio per ragionare, per stoppare, per girarti. È particolarmente difficile quando i centrali sono sempre vicini, ti seguono, ti trattengono e questo l’ho avvertito molto. Ma mi sto abituando molto bene. Lo sto anche studiando il calcio italiano, sto vedendo molti video, e sto parlando con il mister, con i suoi collaboratori Nuno (Campos, ndr) e Tiago (Leal, ndr) per migliorare il più possibile. In Spagna è diverso, qua devo usare di più la testa per trovare lo spazio».
Magari proprio l’aria di casa che c’è nella Roma, con cinque ragazzi spagnoli, ti ha aiutato… «Con Gonzalo Villar avevo parlato molto della Serie A, anche i compagni me ne avevano parlato, di come funzionano qua le difese, di come le squadre giocano. Quando ho affrontato l’Inter ho parlato con Hakimi e mi sono detto qualcosa anche con Theo (Hernandez, ndr) perché ce li ho avuti come compagni al Real. Ho parlato anche con Cristiano (Ronaldo, ndr) dopo le partite con la Juventus e…».
Stop, un inciso: Inter, Milan e Juve sono così distanti dalla Roma? Come mai la statistica così negativa negli scontri diretti? «Io credo che la Roma sia alla loro altezza, siamo lì in classifica in fondo. Con l’Inter, la Juve e il Milan all’andata abbiamo pareggiato, poi abbiamo perso partite che sarebbero potute andare diversamente. Non li abbiamo battuti comunque per dei dettagli. Certo contro le grandi squadre sono proprio i dettagli che fanno la differenza. E in questo si deve sempre crescere».
Un attaccante che parla molto coi compagni e con gli ex compagni, ma a proposito di compagni, di crescita di ruolo, il discorso va a finire per forza dove deve andare: Edin Dzeko; l’attaccante che sta sul podio di sempre dei bomber della Roma. Il numero 9 della Roma. Il campione. Anche per Borja… «Assolutamente. È il tipo di attaccante che adoro. Per come si muove, sia dentro l’area, sia nel campo, per come partecipa, per quanto è forte. Quando sono arrivato non credevo di poter giocare così come sto facendo. Sono molto contento. Con il mister Fonseca ho un rapporto buono e di rispetto, mi confronto con lui e con tutto il suo staff. E mi confronto con Edin: da lui sto imparando tanto. Mi ha sorpreso umanamente da subito. Una volta mi ha riportato a casa perché quel giorno non avevo la macchina e abbiamo parlato tanto della Roma, del calcio, della squadra. Mi piace chi ha la cultura calcistica come quella che ha lui. Vorrei rubargli la sua abilità nel gioco aereo, e il suo essere dominante». (…)
Un capitano è capitano al di là della fascia… «Noi in squadra abbiamo vari capitani, come Edin, Lorenzo, Bryan, Gianluca. Tutti i giocatori che aiutano noi in campo e fuori sono capitani, ragazzi che parlano con noi se abbiamo bisogno di qualcosa. Per me in una squadra è la qualità più importante, quella che apprezzo di più».
Soprattutto, magari, nei momenti di difficoltà. A proposito: Pedro non sta vivendo un grande momento, Pau Lopez da portiere della nazionale spagnola è finito in panchina e viene criticato più o meno sempre, Perez dal Barcellona gioca poco: che succede ai tuoi connazionali? «Sono tante domande. Parliamo di Pedro innanzitutto: è un campione assoluto che ha giocato in tante squadre e che ha vinto anche tanto. Alla Roma appena arrivato ha fatto bene, e anche tanto, ma poi ha sofferto degli infortuni e si è dovuto fermare. E capita che non sia facile ritrovare la fiducia e una condizione buona, soprattutto perché la Roma ha tanti giocatori forti davanti. Carles, Perez, è giovane e quando non hai continuità nello giocare è ancora più difficile, ma quando lo fa lo fa bene. Per quanto riguarda Pau invece secondo me sta facendo bene, e mi piace tanto come portiere».
A ‘sto punto manca Villar che invece ha conquistato tutti, anche la nazionale? «Sì è da nazionale, ha tutto per andarci poi è un mio amico e mi piacerebbe che ci andasse. Gonzalo ha dimostrato che è un giocatore importante per la Roma, giovane come me e Carles. E ha dimostrato che quando si ha fiducia in qualcuno tutto diventa più facile. Abbiamo a che fare con tante situazioni».
Sicuramente anche con tante pressioni, a Roma ce n’è una in particolare… «Sapevo che il derby ero importante, ma non credevo fino a questo punto. Ho sentito direttamente quanto si sente, ma questo a me piace. Adoro la passione nel calcio e quella dei tifosi. Purtroppo con loro è stata una partita che è andata così, ma la prossima magari… Il derby si sente molto di più qua che a Madrid, si sente che la gente qua lo vive di più. E a me piace». (…)
La Roma una scelta, al posto del Real Madrid. Una scelta anche coraggiosa… «Sì, ma di questo ne ho parlato abbastanza. È bellissimo giocare per il Real Madrid, questo è vero, questo lo sanno tutti. A Madrid c’era Benzema che era ed è ancora il titolare, insomma è lui l’attaccante del Real. Io ho preferito venire qui per crescere come calciatore, dopo il Levante dovevo crescere di livello. E farlo qui non è facile, ma ti migliora». (…)
A Roma, che è “anche” una città che gli è entrata dentro… «Mi piace andare a conoscerla perché questo è un posto speciale. Purtroppo per il Covid la situazione non è così facile, ma io voglio conoscere sempre qualcosa di Roma. Sto bene anche a casa, mi ci sento bene, vedo film, serie tv e gioco alla Play Station, anche se non sono bravo è comunque un’opportunità per giocare con degli amici spagnoli. Alla play il più forte è Carles, Perez, ma perché lui ci gioca tanto, anzi forse ci gioca anche troppo (ride, ndr)». (…)
E invece è dedicato a una persona o a cosa in particolare l’esultanza con la mitraglia? «A degli amici. L’ho decisa insieme a loro. Parlavamo di cosa potessi fare come esultanza per loro ed è venuto fuori questo. Ho visto che qui in Italia anche Batistuta lo faceva».
Già, il Re Leone… Tu hai un soprannome? «No, anzi non esattamente. Quando ero nel Castilla mi allenavo con la prima squadra e c’era Fabio Pecchia, che poi ha allenato il Verona, e lui mi chiamava “Borca”. Anche qua mi chiamano tutti così e me l’ha ricordato. Ma il mio nome in spagnolo si pronuncia “Borja” (lo dice con la j che sembra un gorgoglìo, ndr), non “Borca” (ride, ndr). Direi che ormai il mio soprannome è Borca».
“Borca”, è più facile/difficile cercare di andare in Champions o vincere l’Europa League? «Diciamo che entrambi sono difficili. Credo che siamo sulla strada giusta ma mancano ancora 13 partite di campionato e adesso due di Europa League; credo che sia presto per parlare di questo e non possiamo pensare più che alla prossima, dobbiamo continuare a pensare partita per partita. È l’unica strada da percorrere, l’unico pensiero giusto. Passo dopo passo». (…)
FONTE: Il Romanista – La Redazione