Il Coordinatore del settore giovanile giallorosso, Bruno Conti, ha rilasciato un’intervista dove ha parlato a 360°:
“Sono nato a Nettuno dove, sullo sfondo c’è uno dei mari più cari ai romani. Da ragazzino l’estate giocavo a baseball, lo sport che aveva regalato fama e gloria alla mia città. Ero un ottimo lanciatore mancino e sembravo predestinato a una carriera luminosa. Un giorno la squadra di Santa Monica in visita a Nettuno, mi vide giocare. Quella sera, quando suonò il campanello della porta di casa mia, erano le dieci e avevamo già finito di cenare. Mio padre, che faceva il muratore e si svegliava alle quattro del mattino di ogni santo giorno, stava per andare a dormire. Il presidente del Nettuno Alberto De Carolis e il suo collega del Santa Monica chiesero a mio padre l’autorizzazione a portarmi in America. Lui ci pensò su una mezzoretta e poi declinò l’offerta: “Mio figlio è troppo piccolo e l’America troppo lontana”. Due anni dopo ero un calciatore della Roma, la squadra del mio destino. Alla Roma mi ha portato Antonio Trebiciani, l’allenatore della Primavera, che mi aveva visto giocare l’estate prima a Nettuno in uno dei tornei dei bar. Prima avevo già fatto un provino, mi ero ritrovato al cospetto di Helenio Herrera, sì proprio lui, che mi bocciò senza pensarci due volte. Disse al mio accompagnatore, il presidente dell’Anzio, che ero tecnicamente dotato, ma non avevo il fisico per giocare a pallone. Per farla breve, ero troppo basso per il calcio. Non me la presi più di tanto. In fondo anch’io pensavo che non sarei mai diventato un professionista di livello. Per me, che ero cresciuto in mezzo alla strada, in una famiglia con sette figli, il calcio era, prima di qualsiasi retropensiero, evasione e divertimento. Non me la presi più di tanto neppure quando mi bocciarono di nuovo a un provino a Bologna. La tiritera era sempre la stessa”.
Trebiciani la porta alla Roma ed è subito prima squadra… “Sì. La mia prima volta in serie A è stata il 10 febbraio 1974. La partita era Roma-Torino. L’allenatore Nils Liedholm. Nella Primavera con me c’erano campioni del calibro di Agostino Di Bartolomei e Francesco “Kawasaki” Rocca, che fecero, prima di me, il salto in prima squsdra. L’anno dopo mi diedero in prestito per farmi, come si diceva allora, le ossa, al Genoa, dove sono rimasto un anno in più, come parziale contropartita dello sbarco nella capitale di Roberto Pruzzo. A volermi a tutti i costi al Genoa era stato Gigi Simoni, peraltro pesantemente criticato per aver scelto di affidarsi a un ragazzino nell’anno della improcrastinabile scalata alla serie A. Finì che la squadra conquistò la promozione e io il premio come migliore calciatore della serie B”.
Dopo il ritorno con un anno di ritardo, fu Roma per sempre… “Mi ritrovai da subito in una squadra, destinata, da lì a qualche anno, a scrivere una delle pagine più esaltanti dell’intera storia della Roma. Furono Liedholm e il presidente Dino Viola a creare, pezzo dopo pezzo, una squadra che avrebbe vinto lo scudetto, dopo quaranta anni di attesa, e sfiorato la conquista della Coppa dei Campioni, da Ancelotti a Herbert Prohaska, da Di Bartolomei a Sebino Nela, da Ciccio Graziani a Paulo Roberto Falcao e a tutti gli altri grandi campioni”.
FONTE: Il Foglio