In materia di cross Bruno Conti è stato professore emerito sui campi degli anni Settanta e Ottanta. Dal suo piede partivano arcobaleni.
Che impressione le fa ora, Conti, sapere che il cross è diventato merce rara? «Strano, quasi incredibile pensando a com’era il nostro calcio, quello che credevamo fosse “il calcio”. Oggi è come se si fosse ristretto il campo».
È un cambio di prospettiva: dall’orizzontalità alla verticalità… «La preponderanza dell’aspetto fisico sulla tecnica ha spostato i meccanismi del gioco, oggi si tende alla progressione centrale, allo scambio corto, una volta la fascia era invece il luogo in cui si faceva la differenza».
Questione di moda, come dice Prandelli? «Può essere. E non c’è più il centravanti, soppiantato dal falso nueve, l’attaccante di manovra. I cross non si fanno più perché non ci sarebbe nessuno a raccoglierli».
Evoluzione o involuzione? «Né una né l’altra, o entrambe. Ora il cross non si allena nemmeno più».
Ai vostri tempi? «A fine allenamento, soprattutto con Liedholm, ci allenavamo tecnicamente sul gesto del cross. Eravamo io e Rocca, andare sul fondo e metterla precisa a centro area. Ciinsegnavano che se un cross è fatto bene un difensore è sempre tagliato fuori. Ai miei tempi, nelle altre squadre, c’erano Causio, Sala, Oscar Damiani, e poi Bettega, Pruzzo, Graziani, pronti a trasformare il cross in oro».
Un’istantanea: Italia-Polonia ’82, la semifinale, contropiede: lei vola sulla fascia e mette al centro per Rossi. Testa, gol… «Mettere l’attaccante davanti alla porta con un cross è emozionante come fare gol. E non dimentichiamola fatica. L’ala aveva un compito duro, correre in su e in giù per 90 minuti su un corridoio di cento metri. L’ampiezza, il cambio di gioco, il dribbling, l’ala stessa erano le variazioni che servivano a creare scompiglio. Tecnica, più che tattica. Intuito. Oggi si studia al computer, si cercano risposte nelle statistiche e si gioca in trenta metri, addensati come sardine.I fenomeni verranno sempre fuori, ovvio, ma ci vogliono altre qualità. Fisiche, prima di tutto».
Si dice un gran bene di suo nipote Brunetto, figlio di Daniele, 17 anni, in Primavera al Cagliari… «Trequartista. Ma non mettiamogli pressione, ne hanno già avuta molta i miei figli. E Brunetto ne deve mangiare ancora di pagnotte»
FONTE: La Repubblica – C. Cito