Anche Chris, come Ronaldo, ha un papà che lo guarda da lontano: «Mamma mi ha tirato su da sola». Il padre Lloyd, di origini giamaicane, morì quando Chris aveva appena cinque anni. La famiglia Smalling dovette correre ai ripari: «Con mamma e mio fratello Jason ci spostammo da Greenwich a Chatham, nel Kent».
La vecchia casa costava troppo. Lloyd sarebbe stato orgoglioso di questo suo ragazzo semplice nei modi e grintoso nelle scelte, incline alle sfide ma assennato e colto: «Quando mi presero al Milwall il vero problema era la distanza. Mamma non aveva la patente». Per portare qualche soldino a casa, a fine allenamento Chris indossava il cravattino e andava a servire ai tavoli di un ristorante.
Al Milwall sperimentò il sapore «forse all’inizio un po’ respingente» del calcio professionistico, anche se di professionistico aveva soltanto la dicitura. Infatti Chris non ricorda di essere stato mai pagato: «Non credo neppure di aver firmato un contratto». Aveva 16 anni e siccome i capelli crescevano un giorno, per quel cespuglio da “blaxploitation” sulla testa, al Maidstone lo soprannominarono Shaft. I primi calci erano arrivati con i Walderslade Boys: «Più under di noi all’epoca c’era soltanto la sala parto!». Sette anni, forse qualche mese di meno.
Con il Brescia ha raggiunto il limite: diventare un difensore “falso nueve”. Una rete, due assist. Era il sogno del suo più grande estimatore: sir Alex Ferguson. La vita di Chris Smalling ebbe un sussulto il giorno in cui Roy Hodgson, allora suo allenatore al Fulham, tra il rammaricato e il compiaciuto, lo prese da una parte: «Chris, il Manchester United ti vuole…». La prima cosa che gli venne in mente fu: «Deve esserci un errore». La seconda fu di chiamare sua madre Theresa: «Mamma, che dici vado?». Arrivò una risposta in forma di domanda: «Ma non eri tifoso dell’Arsenal, bambino mio?».
Il solito dilemma. Poi prevalse il buon senso: «Avrei preferito che quella telefonata l’avesse fatta Wenger, ma pazienza», concluse Theresa. Chris e Ferguson si chiusero nella stanza di un hotel. «E adesso che gli dico a questo?». Fu sir Alex a rompere il ghiaccio. «Aveva un talento speciale nel farti sentire a casa». Parlarono per tre ore. Pure di rugby e di cavalli. Il giorno dopo Ferguson chiamò sua madre che rimase a bocca aperta: «Oddio, ma che siamo in tv?».
Nell’estate del 2010 Chris Smalling diventava il futuro difensivo del Manchester United (che adesso potrebbe alzare la posta con la Roma per il riscatto del 29enne, guida e simbolo, con Mancini e Zaniolo, della Roma di Fonseca): «Guardavo i miei nuovi compagni di reparto: Vidic, Ferdinand, Jones, O’Shea. E quando gioco…? ».
Non solo ha giocato, ma ha anche aperto un ciclo aggiornando l’antica etica del difensivismo inglese: «Uno dei momenti più belli della mia vita è stato vincere la Premier nel 2011, appena arrivato a Manchester». Rivinse nel 2013. Nel 2017 si è sposato con Sam Cooke, ex modella delle sexy pagine dei tabloid, sul lago di Como. Sua madre disse: «Adesso mi risposo pure io!». La mamma stravedeva per il suo amico Daley Blind, olandese dello United. E allora Chris li prese in giro: «Sarai tu il mio patrigno?».
Medici e moglie l’hanno convinto a farsi vegano per sconfiggere le tendiniti che lo stavano perseguitando. Quindi non tornerebbe mai al filetto. Nelle sue prime 5 partite di campionato con la Roma non ha perso un contrasto. E una volta entrato in squadra non è più uscito. 990 minuti giocati, due reti, una sola ammonizione. Roba da guinness. Continuate pure a chiamarlo “falso nueve”.
FONTE: La Repubblica – E. Sisti