“Non portatemi verso la vostra mediocrità, non peggioratemi, ma scuotetevi, seguitemi verso l’ambizione“, aveva detto Mourinho a Torino alla squadra dopo il clamoroso ribaltone contro la Juventus. E da Torino a Tirana la squadra aveva imparato ad andargli incontro. Adesso toccava alla società.
Estate 2022, tempo di calciomercato. Per Tiago Pinto era il momento di mettersi all’opera. A metà luglio si era trasformato in piacere e privilegio dell’anima: erano le ore dell’estasi dybaliana. Anselmo aveva saltato il turno di riposo, che da sempre era il martedì, e non aveva più senso chiedergli il perché (“sabato, domenica e lunedì sono dedicati alla partita e alle discussioni, il resto è semplicemente ordinaria amministrazione“). Mourinho, con ancora i festeggiamenti per la Conference in atto in mezza città, si era subito messo al lavoro per la stagione successiva. Non solo allenatore ma manager a tutto tondo. All’inglese.
Aveva cominciato a credere seriamente di poter arrivare a Dybala il 6 luglio, anche se fino a quel momento non era per niente soddisfatto del mercato. Tiago Pinto continuava a ripetergli che prima di acquistare bisognava vendere – “così vuole la proprietà” era il leitmotiv – e poi era ancora viva la questione Zaniolo. La Juve lo voleva, anzi no, era la Roma che aveva bisogno di venderlo. Si diceva tutto e tutto il suo contrario, ma dai protagonisti della vicenda trapelava poco o nulla. Come d’abitudine. L’unica mia certezza era che non credevo alla storia dell’allenatore che se ne voleva liberare.
A un certo punto dell’estate, stanco di aspettare, José aveva capito che era giunta l’ora di forzare la mano, facendo pressione all’interno di Trigoria. Fino a quel momento non aveva voluto mettere in difficoltà il direttore sportivo, ma la squadra stava migliorando solo nelle seconde linee e il giocatore di maggiore qualità, Mkhitaryan, se n’era andato all’Inter. Dybala era ancora senza squadra, proprio lui, la soluzione ideale per l’attacco.
La proprietà di linguaggio di Irnerio affascina chi lo ascolta ed è un po’ sospetta: da ragazzo avrebbe voluto fare il giornalista sportivo, ma dopo un anno e mezzo da abusivo al Tempo di Gianni Letta i genitori l’avevano convinto a cambiare strada, a scegliere lo stipendio sicuro. Abbandonate le promesse, non aveva rinunciato alla vocazione. “Il Mourinho di dieci anni prima avrebbe fatto fuoco e fiamme“, aveva chiosato ricevendo in cambio gli applausi convinti della platea.
In effetti, il nuovo José ha imparato a ottenere ciò che desidera attraverso percorsi più controllati, inventandosi una comunicazione trasversale e volutamente ambigua. Prima c’è stato il post su Instagram con le gambe incrociate di fronte al computer spento, negli ultimi giorni di Londra. Replicato in varie location per far impazzire i tifosi che provavano a interpretarlo. Poi il silenzio che ha fatto rumore a Fiumicino, al ritorno a Roma dopo la vittoria in Conference.
Vera o meno la ricostruzione dell’incontro quasi casuale con Ryan Friedkin: “Se le cose non cambiano, potete cercarvi un altro allenatore per la prossima stagione“, di sicuro Tiago Pinto ha passato il tempo a trasmettere l’insofferenza dell’allenatore agli americani, che hanno deciso di provare ad accontentarlo: non potevano permettersi i mal di pancia dell’uomo che ha cambiato la sostanza e l’immagine della Roma.
Quando il DS ha aperto alla soluzione Dybala, José ha finalmente potuto sentire il giocatore di persona e, come sempre, ha trovato le parole giuste per risultare convincente. Paulo, che fino a quel momento non aveva preso in considerazione l’ipotesi Roma anche a dispetto dei colloqui con Totti – pur essendo rimasto colpito dall’entusiasmo dei tifosi nelle semifinali e nella finale di Conference League –, ha cominciato a traballare.
L’Inter prendendo Lukaku gli aveva dato il benservito, il Napoli non sembrava così convinto, il Milan non ci aveva nemmeno pensato davvero, mentre la Roma era pronta a offrirgli tutto l’amore e la fiducia che cercava. E Mourinho. Tra il 16 e il 18 luglio, il lavoro di Pinto e Fabrizio De Vecchi, l’intermediario internazionale cresciuto all’ombra di Ernesto Bronzetti e scelto da Dybala per trattare con l’estero ma anche con le società italiane (l’Inter e l’Atletico Madrid erano gli unici club lasciati in esclusiva a Jorge Antun), è andato in porto: Paulo ha accettato il trasferimento.
Oltre che da Mourinho, Dybala è rimasto molto colpito anche dalla chiacchierata avuta con Dan e Ryan Friedkin, avvenuta poco dopo l’ultimo tentativo di Beppe Marotta, “disarmato” finanziariamente da Zhang. Alle due di notte, in città, c’era già chi festeggiava.
Dybala è stato per la Roma una svolta assolutamente tecnica – più che emotiva – che ha il peso del ritorno di Lukaku all’Inter. Con una differenza sostanziale: non sappiamo – né c’interessa sapere – quanti tifosi del Chelsea stiano rimpiangendo Big Rom, mentre siamo certi che i vedovi di Dybala, juventini doc, si faranno sentire tutto l’anno.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni
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