Va salutata come un’importante novità la convergenza che si è creata fra «Tre città in difesa del bene comune» Milano, Parma e Roma. Il terreno d’incontro è uno stesso problema, il pretestuoso rifacimento degli stadi come foglia di fico per sfrontate speculazioni edilizie. Uguale è la cornice di queste imminenti devastazioni urbane, l’infelice «Legge Stadi» del 2013 con le modifiche da allora intervenute, fino al decreto legislativo 30/2021.
Identica l’arma che i tre comitati civici impugnano per vincere la battaglia: la Costituzione. Di qui il loro slogan: «Scegliamo la Costituzione, non la speculazione: aboliamo la Legge Stadi». Lo stadio e il «pubblico interesse» non sono se non un cavallo di Troia per contrabbandare e – scrive Imposimato – «mascherare un’operazione di mega speculazione edilizia».
Ma che vuol dire «pubblico interesse»? Nella Costituzione questa espressione, che ricorre all’articolo 82, è sinonimo di «interesse della collettività» (articolo 32), «interesse generale» (articoli 35, 42, 43 e 118), «utilità generale» (articolo 43). Formule non coincidenti ma convergenti nel definire un valore imprescindibile, che è il cuore stesso della Carta: il bene comune. Quale sia il «pubblico interesse» di concedere per 90 anni aree di proprietà pubblica e contributi finanziari a un proponente privato, è difficile capire. Né si vede il «pubblico interesse» di distruggere aree a verde pubblico aggravando il consumo di suolo, odi creare nuovi addensamenti in zone di delicata viabilità (a Roma, a ridosso di un ospedale!), alterandone gli equilibri abitativi e lo skyline.
Dov’è mai, in tali progetti, la qualità della vita dei cittadini o l’interesse delle generazioni future? Dov’è il rispetto della storia e dei paesaggi, prescritto dall’articolo 9 della Carta? E perché, per «semplificare» le procedure al punto di mortificare o annullare le competenze degli organi di tutela, si vuol togliere addirittura di mezzo un’istanza tecnica di valutazione dell’impatto sui paesaggi urbani? Perciò i tre Comitati civici hanno diramato un appello ai cittadini «affinché si informino e si mobilitino a tutela dei propri diritti» e ai politici perché con piena responsabilità rimettano al centro di questo conflitto di interessi non il profitto delle imprese ma la dignità e il bene dei cittadini.
Il segnale (gruppi di cittadini che ragionano insieme sull’interesse pubblico a Roma, a Parma, a Milano) è forte. Se le numerose associazioni ambientalistiche che operano in Italia su base locale sapessero far rete fra loro (e con le associazioni nazionali), la forza complessiva d’impatto sarebbe tale che anche i più sordi fra i nostri politici sarebbero obbligati a prestarvi orecchio. Tenue speranza, forse: ma perché rinunciarvi senza nemmeno tentare?
FONTE: La Stampa