Siamo alle solite Calimero. Qui, di veramente speciale, c’è soltanto la banalità del male che ricorre: quel non saper dove andare, dove girarsi, a chi passare la palla, quella confusione che di colpo si sovrappone al belvedere di qualche fotogramma precedente, come se la Roma fosse un film montato un po’ alla rinfusa. Quel che (non) si è visto a Bologna conferma la natura del soggetto, il soggetto Roma, pallido dopo essere stato promettente. Nella sequenza delle visualizzazioni di questa doppia essenza c’è gran parte della verità, inclusi infortuni e squalifiche con l’Inter. Vi siete mai chiesti quale sia la differenza tra i Pink Floyd e la Roma?
I Pink Floyd hanno esplorato e raccontato il lato nascosto della luna, trovandosi a meraviglia. La Roma, quel lato nascosto, lo frequenta a intervalli regolari, sparendo dalla circolazione per qualche interminabile somma di minuti e senza mai capirci nulla. Pink Floyd luce, Roma buio. Cosa succede? Se esistesse una risposta, sarebbe già arrivata 40 anni fa. Non è un problema di guida tecnica: è quasi una questione etica, che coinvolge la storia emotiva del club. La Roma non riesce ad esimersi dal mostrare più facce, una sorridente, una vibrante, una malinconica, una tetra, una vincente e l’altra perdente, una dinamica e l’altra spenta, una Trigoria e l’altra Psicoria.
È il passato stesso che ci spiega come tutte queste meravigliose contraddizioni, e questo frequentare assiduamente la propria “dark side”, ribadiscano soltanto la congenita repulsione giallorossa per la normalità (oppure certificano un’interpretazione molto singolare della normalità…). Nella “dark side” della Roma va conteggiato anche l’atteggiamento – che si è tramandato da presidente a presidente (non i Friedkin però), e da allenatore a allenatore – di chi la butta sempre sul personale, di chi vede congiure, complotti e Turoni dappertutto.
Non fa bene alla salute. È probabile che la Roma non sia particolarmente fortunata, quanto a decisioni arbitrali: ma il rigore a Torino, va sempre ricordato, lo sbaglia Veretout, non l’arbitro. E a Bologna è vero che Karsdorp e Abraham erano nel limbo (si poteva ammonirli ma anche no): però va detto che da un giocatore professionista diffidato puoi anche pretendere che resti lucido evitando di fare cavolate di cui peraltro non si sentirebbe la mancanza. E poi c’è la continuità, sconosciuta compagna di viaggio. Non è un caso che dall’altra parte ci sia spesso qualcuno più attento, più organizzato, anche se teoricamente più piccolo di te, come il Bologna.
FONTE: La Repubblica – E. Sisti