Il primo ad abbracciarlo è stato il direttore generale Mauro Baldissoni. Alberto De Rossi è il condottiero di questa Roma Primavera che da cinque anni vince con grande continuità e sforna calciatori per la serie A e anche per la B e la Lega Pro. I trofei strettamente americani, oltre questa Supercoppa Primavera, sono la vittoria nella stessa manifestazione, edizione 2012, l’ultimo scudetto di categoria, i titoli italiani Giovanissimi e Allievi del 2014 e del 2015. Una bacheca ampia, che i titoli di Alberto De Rossi arricchiscono affondando negli anni precedenti: altri due scudetti (nel 2005 e nel 2011), una Coppa Italia (e fanno 6 trionfi con la Primavera), più lo scudetto Giovanissimi del 1999, la celebre doppia finale di Catania in cui in due giorni la Roma si cucì due scudetti sul petto, compresi gli Allievi allora affidati a Mauro Bencivenga. «Alla Roma siamo una famiglia», dice Alberto De Rossi. E ci vuole tornare sopra a questa espressione: «Sì, perché la si usa spesso come una frase fatta. E invece siamo veramente una famiglia. Esiste l’interesse collettivo per quello che fanno le altre squadre, la gioia di tutti quando vince uno. E questa è un sentimento che parte dalla prima squadra a scendere». E già: se no Luciano Spalletti non entrerebbe nello spogliatoio per tenere un discorso che De Rossi definisce «emozionante» alla squadra. Se no quei ragazzi non andrebbero a esultare con la Coppa e la maglia di Alessandro Florenzi sventolata.
Cosa c’è dentro un 4-0 così netto come il risultato della finale di Supercoppa?
«Una mentalità, uno spirito di gruppo, una maturità che non sono così scontate per una squadra Primavera. La forza di questi ragazzi è nel gioco di squadra. Altrimenti non vinci così contro un’Inter che ha straordinari valori tecnici».
E’ un gruppo rinnovato rispetto a quello che ha vinto lo scudetto.
«E’ vero, è un nuovo ciclo in cui si innestano i valori degli Allievi ’99. Quando dico che alla Roma siamo una famiglia, però, intendo sottolineare l’aspetto del lavoro di squadra che comincia dalla base e sale fino alla Primavera. Con la prima squadra che rappresenta il terminale del progetto».
Ci fa la catena produttiva?
«Le Academy, lo scouting, i campionati di base e a salire Giovanissimi e Allievi, dove il lavoro si raffina e arriva a noi».
Spalletti era all’Olimpico, venerdì sera.
«Noi partiamo con un vantaggio. Spalletti e il suo staff vengono tutti dalla gavetta, dai settori giovanili, conoscono il nostro linguaggio. Il mio rapporto personale con il tecnico è straordinario. Ha fatto un discorso alla squadra prima della gara emozionante».
Torna l’idea della famiglia, che le piace molto. Da Spalletti alla società. Lì il rapporto come diventa?
«Non cambia, stessa intensità, stesso feeling. Il direttore generale è stato il primo a venirmi ad abbracciare, Massara è stato accanto a noi come primo referente di Walter Sabatini fino a… ieri. Un rapporto quotidiano. E anche ora che il suo impegno nei confronti della prima squadra è diventato ancora più avvolgente, totale, le sensazioni reciproche sono identiche».
E Walter Sabatini, che nel frattempo è andato via?
«Questo trofeo è anche suo e pure questa non è una frase fatta: il rapporto e la stima con Walter sono nati sul campo, da avversari, senza mediazioni: io sempre alla Roma, lui tra la Lazio e il Palermo. Poi finalmente abbiamo potuto lavorare insieme. Nella costruzione di questa squadra c’è il suo grande lavoro».
Una squadra matura, così l’ha definita lei. Quanto conta la Youth League in questo processo di maturazione?
«Tantissimo. E’ un completamento perché ai tatticismi del campionato italiano aggiungi certi duelli fisici, mentali, che solo il terreno europeo riesce a darti. Se io ripenso al nostro cammino degli ultimi due anni, vissuto sempre da protagonisti contro City, Chelsea, Psg, Bayern, Barcellona, come si fa a non crescere vivendo certi confronti con realtà d’elite internazionale?».
Come è ripartito Tumminello dopo quella maxi squalifica?
«Dimostrando chi è. La punizione l’ha avuta, giusta e sonora, anche se eravamo tutti sorpresi perché certi eccessi non appartengono alla Roma – paradossalmente ne avevo avuto già un altro con Sadiq – e non appartengono alle mie squadre. E non sono mai appartenuti a Tumminello. Dopo la punizione, però, lo abbiamo accompagnato, sostenuto, come una società deve fare. E non se ne è parlato più».
Quando si parte vincendo una Supercoppa c’è il rischio di sentire il peso delle responsabilità?
«La sfida deve piacerci, stimolarci. Perché bisogna sentire addosso la consapevolezza di poterle vincere tutte. Quanto ci ha fatto bene la prima sconfitta in campionato con l’Entella, pronti via. Da lì non abbiamo sbagliato più. Sa le volte che guardo i ragazzi e dico: ‘ricordatevi la prima…‘ Ci serve».
Famiglia Roma è… il titolo di De Rossi. Ma se uno pensa ai ragazzi in serie A cresciuti nel vivaio e a queste vittorie, Modello Roma, Scuola Roma, sono titoli che le piacciono?
«Posso dire che mi ci riconoscerei… E sapendo come si lavora e si programma sui giovani qui, quanta fatica di tutti c’è per lo stesso scopo, dico che la Roma è un modello. Senza la presunzione di voler essere l’unico. Pensiamo al Milan. Noi guardiamo senza invidia, ma semmai positivamente, un club che fa sbocciare in casa Donnarumma e Locatelli, per dirne due. Se ne giova la competizione, diventa una risorsa per le nostre nazionali». E la Roma non ha paura. E’ pronta a vincere ancora.