Con il derby del sole alle porte la mente non può che ricordare quell’odio esplodo la sera del 4 maggio 2014, quando l’ultrà della Roma, Daniele De Santis, uccise Ciro Esposito, il tifoso del Napoli arrivato nella Capitale per assistere alla finale di Coppa Italia, vinta dai partenopei contro la Fiorentina. Trascorsi quasi due anni e mezzo da quella “scellerata provocazione“, descritta dai giudici nelle motivazioni della sentenza, il processo di appella sembra essere alle porte. In primo grado infatti l’ultrà della Roma è stato condannato a scontare 26 anni di reclusione.
I giudici non avevano accolto la legittima difesa. “Danielino“ sapeva ciò che stava facendo e per questo avrebbe portato con se un’arma. La droga gli avrebbe fornito quel senso di “onnipotenza correlato all’incapacità razionale di valutare i fatti“. Per i magistrati “l’intensità del dolo dimostrato da De Santis è dunque massima, fino a lambire le soglie della premeditazione“. Secondo i giudici si trattò di un agguato perché gli aggressore, “non potevano trovarsi casualmente in quel posto appartato, conosciuto e familiare solo al De Santis e purtroppo lasciato privo di qualsiasi presidio da parte della polizia, benché fosse noto alla stessa che si trattava della “tana” di un pericoloso e facinoroso ultras“.