Dopo 48 ore di delirio per l’arrivo dello Special One, la Roma e i suoi tifosi stasera tornano con i piedi per terra. C’è di nuovo il Manchester United pronto a svegliare i giallorossi dal sogno per farli ripiombare nell’incubo. All’Olimpico va in scena l’ultimo atto di Fonseca con l’Europa sulla panchina della Roma, a meno di clamorosi miracoli ai quali ormai in questa città si è abituati a non credere. Il portoghese saluta con il «suo» stile un palcoscenico sul quale la «sua» Roma è stata comunque l’unica italiana rimasta in gioco.
Ma soprattutto avrà poi quattro partite di campionato per cercare di lasciare un ricordo migliore di sé. E parliamo di obiettivi minimi a questo punto: giocare un derby dignitoso che non faccia altre vittime e conservare il settimo posto per consentire al connazionale che prenderà il suo posto di ripartire non proprio dal nulla. E qui si apre un altro capitolo, perché l’euforia giustificatissima che ha accolto il solo «annuncio» dell’arrivo di Mourinho (chissà cosa succederà il giorno che metterà realmente piede nella Capitale), ha spostato l’attenzione su quello che era e resta il problema principale della Roma: la squadra.
Perché allo Special One non basterà il solito miracolo per rimettere in piedi le rovine che troverà a Trigoria, né si potrà aspettare (tanto lui, quanto la suddetta tifoseria) una campagna acquisti senza limiti in grado di portare in giallorosso tanti campioni. No, qui si tratterà di dare per una volta seguito e senso alla parola «progetto»: che significa partire dal basso e ricostruire mattone dopo mattone, partendo dal buono che hai in casa e l’aiuto di tanti giovani. Mourinho lo sa bene, ha già messo le mani avanti e giocato d’anticipo con quel «Daje Roma» che gli consentirà di avere un ampio margine temporale di manovra. Perché oltre a essere un ottimo tecnico, come si dice a Roma è anche un gran «paraculo!».
FONTE: Il Tempo – T. Carmellini