Nel segno del due. Due anni e due mesi dopo, Edin Dzeko torna a realizzare due gol all’Olimpico in campionato. La firma multipla era arrivata anche l’anno scorso, in Champions (tripletta e doppietta) e lontano da casa (Bergamo e Frosinone), ma la stagione orribile della Roma sembrava aver coinvolto anche lui. Il totem dell’attacco, il simbolo della cavalcata europea terminata fra mille recriminazioni col Liverpool, aveva lasciato l’ultima doppia firma capitolina in A al 28 aprile 2018, a metà fra le due sfide coi Reds. Avversario il Chievo, col bis al minuto 65, come l’altra sera. Fra i compagni di allora De Rossi, Alisson, Strootman; in panchina Di Francesco; in società Monchi.
Ottocento giorni fa (798 per la precisione), un’era geologica. In mezzo arriva Fonseca, salutano DDR, Totti e Florenzi, passa Petrachi. Col nuovo ds il rapporto non inizia nel migliore dei modi: il bosniaco è pronto a cedere alla seconda lusinga di Conte, dopo quella di marca Blues respinta un anno e mezzo prima. E il nuovo dirigente ne parla pubblicamente, censurando il feeling fra Edin e l’Inter. A un passo dalla rottura, il rapporto viene faticosamente ricucito, fino al rinnovo ferragostano. Ma la sintonia fra i due non scatta e la sortita del leccese nell’intervallo di Reggio Emilia a febbraio scorso, con annessa minaccia di ritiro, non fa che acuire le distanze.
Ora Petrachi è lontano e Fonseca stravede per il suo centravanti («il migliore mai allenato»). Con 17 reti stagionali, la fascia al braccio e il piglio del leader, Edin si è ripreso la Roma. Impensabile lasciarlo fuori, anche se su di lui pende una pericolosa diffida. Ma con la Sampdoria ha confermato di essere ancora lui il campione in grado di fare la differenza. Certo non da oggi. Ogni record abbattuto sgretola le ultime (fragili) sacche di resistenza sulla sua grandezza, impressa nella storia romanista.
Che il 9 dimostra di conoscere bene: al termine della gara, lontano da possibili ripassi, ai microfoni di Sky mostra di sapere perfettamente dell’aggancio a Pedro Manfredini. Con la doppietta appaia al quinto posto della classifica dei bomber all time proprio “Piedone” a 104 gol. Nel giorno in cui si onora Prati. Mettendo nel mirino Volk (a due lunghezze). Con un gol alla Voeller. Un pokerissimo di straordinari attaccanti che hanno legato i propri nomi a quello della Roma. In una serata simile, Dzeko non può che sfoderare due perle. Tutt’altro che rare per uno con le sue doti.
Ai gol da cineteca ha abituato in tempi non sospetti, delegando al suo mancino i migliori capolavori (ma lo stesso destro del raddoppio è stato artistico). Tanto da far dire all’amico Kolarov nel docufilm sul bosniaco prodotto da Roma Tv che «anche se non lo ammette, è il sinistro il suo piede». E con quello realizza le straordinarie reti al Napoli in una splendida vittoria esterna per 4-2 e al Torino. Con quello trafigge il Chelsea nell’epica sfida di Stamford Bridge: coordinazione tale da diventare iconica, tipo la rovesciata di Parola sull’album Panini, o per restare in casa, l’acrobazia di Totti nel derby a gennaio 2015. Allora non c’è ancora Edin.
Sarebbe arrivato qualche mese più tardi, salutato a Fiumicino da una folla festante che sfida il caldo estivo. Accoglienza riservata soltanto ai grandissimi. Anche se impiega un po’ per convincere tutti. Una prima stagione iniziata coi migliori auspici nel debutto casalingo contro la Juventus: stacco di testa da far contare i tacchetti a Chiellini, raccogliere la palla in fondo al sacco a Buffon, lanciare la squadra verso un titolo che appare più che possibile, e abbracciare la Sud nell’ultimo turno pre-barriere. Poi il derby deciso da un rigore procurato e trasformato, quanto da una leadership congenita. Ma tutto si complica e quella prima annata fa sorgere dubbi sulle sue qualità, surreali a riguardarli oggi. (…)
FONTE: Il Romanista – F. Pastore