L’esaltazione, poi la depressione. Fenomeni, poi scarsi. La Roma torna nella marea, alti e bassi frenetici. Sempre a caccia dell’equilibrio. Sensazioni, queste, di tifosi di ogni squadra, qui sono acuite perché c’è astinenza da vittoria e questo è frustrante. Ma al di là di certi discorsi di pancia, c’è un qualcosa da analizzare dopo la sconfitta contro l’Atalanta. Intanto, diciamo che nulla è perduto e consideriamo la sconfitta di mercoledì come un incidente.
Da cui ripartire. Ciò che emerge non è tanto la sconfitta, che può capitare, ma come è arrivata. «Non abbiamo mai avuto il controllo del gioco», questo Fonseca dopo la gara. Parole indicative, figlie di una scelta che non ha pagato. E la scelta non è legata al modulo con la difesa a tre, ma all’atteggiamento. Questo termine – riferimento fatto dal tecnico – italianizzazione chissà per quanto ce lo porteremo dietro.
Che vuol dire essersi italianizzato? Giocare con tre (cinque) difensori? No, lo fa l’Inter, che comunque produce un calcio offensivo. L’Italia del catenaccio è morta e sepolta, oggi qui ci sono tecnici all’avanguardia, Fonseca lo è. La Roma non ha giocato in quel modo, ma sicuramente non ha provato a fare il calcio che Fonseca conosce e per il quale è stato ingaggiato. Ha creato una squadra sulla base degli avversari e a un certo punto, pur volendo invertire la rotta, non c’è riuscito. Risultato: la squadra ha giocato male, è stata passiva e ha spesso lasciato iniziativa all’avversario, in più ha subito.
La difesa a tre è un falso problema. Se invece con questo, la squadra ha ricevuto un messaggio negativo, allora il problema c’è, e va risolto al più presto. Il coraggio di cui l’allenatore ha sempre parlato, non si è visto, specie nei due scontri diretti fin qui giocati, con la Lazio e, appunto, con l’Atalanta. Se questo è il trend, non osiamo pensare alla Roma sul campo di Napoli, Inter o Juventus.
DIFESA BALLERINA Questo non è stato garanzia di successo, né di una prestazione senza rischi: la squadra giallorossa ha subito due reti, che sommati ai tre col Genoa e ai due con il Sassuolo, fanno sette. All’Olimpico, dunque, la Roma ha mostrato una fragilità insolita. Solo una volta in 92 anni di storia, il dato è peggiore: stagione 1947-1948, i giallorossi in casa avevano subito, dopo tre partite casalinghe, 8 reti. Sette di queste, incassate contro il Grande Torino. Qualche settimana fa, Petrachi, il ds della Roma, aveva raccontato di un suo colloquio con l’allenatore, era poco dopo il derby, e in quell’occasione gli aveva consigliato di andare avanti per la sua strada, con le sue idee.
Cambiare, specialmente ora, non ha senso, significa trasmettere negatività alla squadra, toglierle certezze che stava acquisendo pian piano. I problemi difensivi dovranno essere comunque risolti di squadra, ma è innegabile come Chris Smalling, vista la prestazione incoraggiante dell’altro giorno, possa dare una mano. Un pacchetto difensivo che sta ancora aspettando il pieno ambientamento di Mancini, preso la scorsa estate proprio dall’Atalanta.
Fazio sta andando a corrente alternata, così come Jesus. Per chiudere la porta di Pau Lopez, che fino a ora ha preso nove gol in campionato, ci vuole una mentaltà di squadra. I gol fatti sono gli stessi dell’Inter, ovvero dieci; la differenza sta in quelli subiti, la squadra di Conte è ferma a 1. Otto, dunque, la differenza con i giallorossi. L’Inter è prima, la Roma settima. C’è un italiano sbagliato tra i due tecnici.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina