«It’s up to him». Tocca a lui. Che sarebbe James Pallotta, fino a ieri ancora restio ad accettare l’offerta ricevuta per vendere la maggioranza della Roma. È il messaggio della famiglia Friedkin, per spiegare perché non si è ancora sbloccata la trattativa, che difficilmente, però, salterà per qualche decina di milione di euro.
La differenza tra offerta e richiesta non è enorme. C’è, ma si può colmare. L’affare è in piedi e da qualche settimana procede in modo meno spedito, perché chi deve vendere non molla un centimetro sul prezzo e chi vuole comprare è irritato per l’attesa. Stando a quanto raccontano fonti vicine al dossier, «i Friedkin intendono avviare un piano industriale a lungo termine per la Roma. Non hanno impostato questo investimento secondo logiche finanziarie da hedge fund, puntando quindi a rivendere l’asset tra pochi anni. Credono nelle potenzialità del team e del brand giallorosso e sono interessati a immettere liquidità nel club per farlo crescere. Lo stadio viene dopo.
L’offerta presentata è completa e comprende una generosa valutazione della società, la copertura del debito e soprattutto l’iniezione di capitale di cui necessitano società e squadra per rafforzarsi. Quello che è in discussione è solo la parte spettante agli attuali azionisti, non quanto andrebbe alla Roma». Tradotto: non c’è accordo sulla cifra che Pallotta e i suoi soci dovrebbero incassare. Ma se l’attuale presidente non si è ancora deciso a cedere il timone della Roma, gli altri soci sono invece fermi sulla loro posizione: è arrivato il momento di vendere. E chi segue da vicino la situazione sul fronte Pallotta, è convinto che i vari Ruane, D’Amore, Edgerley e Starwood a breve lo convinceranno ad accettare l’offerta di Friedkin.
Dan, il nr.1 del gruppo, si trova da una settimana a Long Beach in California e attende sviluppi. Il figlio Ryan è coinvolto e impaziente quanto lui, visto che si occuperebbe in prima persona della gestione della Roma. Pallotta sta per spostarsi a Miami: dalle due coste degli States si deve trovare un punto d’incontro che difficilmente arriverà ormai prima di gennaio, quando gli acquirenti potrebbero ripresentarsi fisicamente nella Capitale. Il viaggio è già programmato e coinciderebbe col momento decisivo del deal.
Al momento, è questa l’unica trattativa in piedi anche se si sono registrate altre manifestazioni d’interesse. Ad esempio, oltre un anno fasi è fatto avanti il fondo d’investimento inglese CVC, che si era mostrato pronto a soddisfare le richieste di Pallotta, arrivando a pagare la Roma più di quanto ora spenderebbe Friedkin. Ma dopo alcuni incontri gli inglesi si sono fermati. Adesso il texano vede davanti a sé la strada libera. E vuole tagliare il traguardo in fretta, anche perché c’è bisogno di avviare le pratiche per l’aumento di capitale da 150 milioni già deliberato: potrebbero servire fino a tre mesi per completare le procedure. Prima si parte e meglio è. Per il bene della Roma.
FONTE: Il Tempo – A. Austini