Prendere appunti, please. Chi è chiamato a comandare, a volte, preferisce stare un passo indietro piuttosto che un passo avanti. Il giorno in cui la famiglia statunitense aveva acquistato la Roma – il 6 agosto 2020 – la squadra giallorossa veniva eliminata dal Siviglia con un perentorio 2-0 nel quarto di finale Europa League giocato in partita secca nella coda di quella stravagante stagione indirizzata dalla pandemia di Covid. Insomma, il benvenuto nel Vecchio Continente non fu dei più felici, e proprio per questo – giunti alla seconda finale consecutiva europea in meno di tre anni di gestione – un successo renderebbe dolcissimo alzare la Coppa al cielo.
In ogni caso, la nuova proprietà della Roma ha inaugurato un nuovo modo di portare avanti quello che è – e resta – un business, provenendo d’altronde da un universo lontano come quello statunitense. Alle nostre latitudini non eravamo abituati a vedere degli imprenditori iniettare fiumi di denaro in una loro azienda senza cercare neppure un bagliore delle luci della ribalta. In tre anni, le parole che hanno concesso ai media restano quelle del primo giorno: zero o giù di lì.
Eppure, se consideriamo anche i 199 milioni spesi per l’acquisto del club, i Friedkin hanno investito circa 750 milioni per la Roma che – a differenza dei loro veri business (automobili, cinema, hotel di lusso) – produce più disavanzi che utili. Poi, però, c’è anche la gloria, se vogliamo anche la storia – minima ma coinvolgente – che il calcio sa scrivere.
FONTE: La Gazzetta dello Sport