Infieriscono, i tifosi della Sampdoria, sui giocatori della Roma che escono dal campo sbraitando. Gli slogan? «Vincerete il tricolor» e soprattutto un’ode a Giampaolo Pazzini, il centravanti che con la doppietta di sette anni fa fermò la fantastica rincorsa-scudetto della Roma di Ranieri. Stavolta è stato un giovane centravanti di riserva sfuggito in estate a Sabatini, Patrik Schick, a stravolgere gli umori romanisti in un paio di minuti: rete del 2-2 e punizione procurata che poi Muriel, al sesto gol contro la sua vittima preferita, ha capitalizzato al massimo. E ogni certezza è venuta meno.
CAPITOMBOLO – D’accordo, gli errori arbitrali pesano sul risultato. Ma c’è molto di autolesionistico in questa sconfitta che allontana dal vertice e rilancia la bagarre per il secondo e il terzo posto, che servono per tornare in Champions. E’ comprensibile, anche se un po’ sguaiata, l’esultanza del romanista Ferrero. Forse nemmeno lui si aspettava che la Sampdoria, dopo una serie di due pareggi e quattro sconfitte, riuscisse a fermare la Roma d’acciaio delle ultime settimane. Szczesny non prendeva tre gol tutti insieme da settembre, quando fu impallinato dal Torino, e veniva da un periodo di quiete organizzata: due reti nelle ultime sette giornate per un’imbattibilità che, fino al gol dell’unico belga felice di questa domenica, Dennis Praet, era arrivata a 344 minuti. Si è sfaldata improvvisamente la fase difensiva di squadra, al di là della brutta partita di Vermaelen, sgretolata dal pressing alto di Giampaolo e dai veloci ribaltamenti di fronte della Samp. Dev’essere una specie di sortilegio tecnico per la Roma: su 21 reti subite in campionato, 5 sono state segnate dalla Sampdoria.
NO PARTY – Non è bastato neppure l’effetto Dzeko, già al gol numero 21 in stagione, come Batistuta nell’anno dell’ultimo scudetto. Aveva segnato d’astuzia il provvisorio 2-1, tornando a festeggiare in trasferta dopo tre mesi, trasmettendo l’idea di un’altra missione compiuta, ma la magia è finita lì. In precedenza, nei giorni dei suoi gol, la Roma aveva sempre vinto. A Marassi invece il timbro di Dzeko non ha lasciato l’inchiostro indelebile sulla partita. E per la legge del contrappasso, crudele e ingiusta, il rigore che avrebbe meritato è stato ignorato per un fuorigioco inesistente. All’andata, lo stesso Dzeko era stato accusato da Ferrero di simulazione per il contatto in area che risultò decisivo per la vittoria della Roma.
NERVOSISMO – Il ritorno da Genova è poco allegro: le facce dei giocatori che sfilano uno dopo l’altro ai controlli di sicurezza dell’aeroporto raccontano delusione, stanchezza e un filo di rassegnazione. Già in campo, nel secondo tempo, c’era stato un battibecco di natura tattica tra Spalletti e Perotti, quando le cose si stavano complicando. Niente di grave, chiaro, ma il sintomo di un malessere che avanzava proporzionalmente ai minuti che passavano. Il resto è sconcerto. Spalletti, tra gli ultimi a salire sull’aereo, appare provato. Anche Szczesny, di solito sorridente e gioviale, dribbla compagni e passeggeri in transito senza scambiare parola con nessuno. Silenzio quasi totale, come sul charter che ha accompagnato la squadra. I tifosi che rientrano sul volo di linea intanto dedicano la loro attenzione a Totti, applaudito timidamente pure a Marassi. «Francesco, in pochi minuti non ti è riuscito il miracolo» gli urla uno. All’andata, giocando un tempo, rovesciò la situazione con la validissima collaborazione di Dzeko. Totti sorride e non risponde, come a dire: che posso farci?