Sono giorni intensi per Leandro Paredes: la nascita del secondo figlio, il primo maschio, è imminente. E basta questo a renderlo felice. Se poi ci si mette anche la Roma, che sta iniziando a considerarlo un titolare, allora il periodo d’oro è completo. A rovinargli i piani potrebbe essere soltanto l’esito degli esami alla caviglia di oggi pomeriggio: lo staff medico pensa che sia solo una distorsione recuperabile entro la sosta, ma l’argentino, come ha spiegato Spalletti dopo la partita col Bologna, ha forzato sul piede nel tentativo di preservare il ginocchio malandato dovendo giocare, seppur nella ripresa, per forza.
REGISTA – Che Paredes stia diventando preziosissimo per la Roma è un dato di fatto, visto che partito Pjanic e con De Rossi che si abbassa spesso sulla linea dei difensori, è di fatto l’unico vero regista. Qualcuno — tra cui il suo allenatore — lo paragona a Pizarro, alla radio ufficiale l’argentino dice che sa come giocava il Pek, ma dice anche che deve imparare ad essere più rapido nel far circolare la palla. Spalletti lo manda in campo quasi sempre: ha saltato solo gli incontri di campionato contro Sampdoria e Fiorentina, in tutto 16 gare con una media di quasi un’ora a partita. «So che devo migliorare, ma adesso siamo tutti più sicuri e convinti», ammette lui.
OBIETTIVI – Con Fazio, Perotti e Iturbe compone un clan argentino inseparabile, lui è quello deputato a scegliere la musica nello spogliatoio, ma è anche quello che, a 22 anni, ha i più ampi margini di miglioramento. L’età non rappresenta un problema così grande, visto che appena maggiorenne già giocava nel Boca. La Bombonera ha rappresentato e rappresenterà un passaggio fondamentale della sua carriera (e lì vorrebbe tornare, prima di dire basta col calcio) e il confronto con l’Olimpico gelido degli ultimi mesi è impietoso: «Ci aiuterebbe tanto avere i tifosi in casa, sarebbe bello un ambiente di quel tipo». Anche perché adesso la Roma è attesa da un ciclo di partite, (Lazio, Milan e Juve), da affrontare senza tirare il fiato: «Non decideranno il nostro campionato, ma diranno molto: noi vogliamo fare bene perché vogliamo vincere qualcosa». Non sarà il massimo dell’originalità, ma in fondo Spalletti la fantasia la pretende in campo, non ai microfoni.