Il rischio era guardare il tabellone e sentirsi in semifinale prima ancora d’aver giocato gli ottavi. Suggestione quasi inevitabile in coppa Italia, terreno di caccia preferito da Spalletti e dalla Roma, durante la prima avventura insieme. Ne vinsero due, oltre a una Supercoppa: gli ultimi trofei di una bacheca in cui dal 2008 è entrata soltanto polvere. Per riannodare i fili della storia e regalarsi i quarti contro il piccolo Cesena – unica di B a passare il turno – bisognava però battere la Samp, impelagata in un periodo tribolatissimo, con tre sconfitte e due pari nelle ultime cinque. Una trappola, se a Trigoria non avessero trovato la formula magica per togliersi di dosso quella punta di spocchia che la Roma si portava addosso tutte le volte che la missione sembrava troppo facile per poterla sbagliare. Ma dal ko dello Stadium in poi Nainggolan e soci hanno infilato un percorso netto: 4 gare, 4 vittorie. Continuando a non subire reti: nel 2017 a Szczensy e Alisson non ha ancora segnato nessuno (merito pure di un palo, questa volta).
Cosa intendesse Spalletti parlando di «ossessione per la vittoria» lo scopre sulla propria pelle il suo amico Giampaolo: quattro gol utili a scoprire Mario Rui, alla prima volta da romanista, a ritrovare Dzeko e El Shaarawy, e a ricordarsi che come Nainggolan oggi non c’è nessuno in Italia: cinque gol in sei settimane, roba da Higuain. Deluso all’Olimpico sarà rimasto solo chi si aspettava il turnover: niente Gerson e Totti solo dopo un’ora, ma i soliti, come a dire alla squadra che questa coppa non vale meno del campionato o dell’Europa League. In fondo la missione del tecnico è vincere, e in una città che non lo fa da nove anni, inutile fare gli schizzinosi. Ossessione fa rima con maledizione: quella della “decima“. La coppa che manca per fare cifra tonda a Roma speravano di vincerla prima della Juventus e invece si sono dovuti arrendere. Arrivare secondi, in questo caso, non sarebbe affatto una delusione. Anzi.