È il destino dei campioni, l’enorme responsabilità che deriva dal possedere così tanto talento e cercare sempre di metterlo a disposizione dei compagni. Un onere che in alcuni casi può essere complicato da gestire, ma se ti chiami Paulo Dybala tutto può apparire più semplice, naturale, genuino.
Ogni tocco al pallone è una carezza, ogni passaggio contiene un’idea, ogni tiro un tocco di genio. L’argentino disegna calcio anche quando attorno a lui le cose non sembrano girare a meraviglia, anche quando i compagni faticano a trovare la via, ci pensa lui a indicarla.
Succede così quando manca freddezza davanti alla porta: palla a lui, bacio al pallone e sfera che s’infila in porta, un tiro di controbalzo che va a baciare l’incrocio dei pali della porta difesa da Vicario. Oppure quando tutti provano a trovare il corridoio giusto per mandare in porta Abraham, lui si fa dare il pallone sull’esterno, sterza, alza lo sguardo e mette un pallone sul piattone dell’attaccante inglese, che insacca e ringrazia.
Ben 80 minuti di gioco per Dybala, prima di lasciare il campo nel finale a Belotti, che hanno giustificato il prezzo del biglietto, sia per il pubblico di casa, che ha potuto ammirare da vicino un talento infinito, ma soprattutto per gli oltre 3000 tifosi giunti dalla Capitale, che anche quando la partita non sembrava promettere nulla di buono, hanno trovato conforto e speranza in ogni pallone toccato dall’artista argentino. Giocate, rincorse agli avversari, un palo e quasi il 90% dei passaggi riusciti.
FONTE: La Repubblica – A. Di Carlo