(…) Per ascoltare le carezze serve un minimo di sensibilità: assai più semplice è registrare gli schiaffi, che fanno notevolmente più rumore. Vedi Mourinho sul volto di Sarri a quattro giorni dal derby, oltretutto era fuori contesto: si trovava in Europa: «Domenica abbiamo perso contro una squadra piccola». Sottile, ma fors’anche più potente, il ceffone restituito dal laziale, che aveva celebrato il successo sotto la Nord e mettendosi l’aquila Olimpia sul braccio: «Lo rispetto, ma basta pantomime. Non partecipo a questi teatrini».
A Roma, grazie a Mou e Mau, si respira da giorni un’aria diversa, frizzantina nonostante la temperatura estiva. Merito del derby che ce li ha riconsegnati nella loro espressione migliore, quella di impagabili comunicatori. Gli opposti in questo caso non si attraggono, ma si scontrano: e perdendosi dietro tesi o denunce, catturano l’interesse di un pubblico disposto a lasciarsi affascinare dalle personalità forti, ma anche a discuterle.
Il rapporto di Mou con il derby sembra (anche perché l’ha perso?) vagamente zemaniano: una partita come un’altra. Sarri, figlio di strapaese, l’ha invece accostato, vissuto e vinto festeggiandolo con entusiasmo giovanile, come un improvviso e inatteso incontro d’amore. Entrambi, lo scettico Mou e l’istintivo Mau, garantiscono con scaramucce a irresponsabilità limitata non solo la crescita spettacolare dell’evento più tradizionale, ma soprattutto la qualità delle contendenti. Roma e Lazio su di giri come ai tempi di Sensi e Cragnotti? La qualità di Eriksson e Capello accetta il confronto.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni