Nel tennis si chiama challenge e ha messo d’accordo quasi tutti. Come nella pallavolo e negli altri sport in cui l’intervento della moviola può essere chiesto direttamente dai protagonisti in campo. Nel calcio no, non ancora almeno. Ma dopo il turno infrasettimanale da incubo il Var, così com’è, è tornato in discussione. Gianni Mura, su Repubblica, ha lanciato la proposta: dare ai capitani, o agli allenatori, il diritto di chiedere la revisione delle azioni dubbie.
Su questo punto l’Italia è in prima linea con una proposta analoga presentata in via informale tempo fa alla Fifa, e all’Ifab (il board che custodisce il regolamento del calcio). Il Var “su richiesta” è un’ipotesi tutta italiana, ma nessuno si espone
apertamente: se gli arbitri non ne sono entusiasti, la Federcalcio in futuro potrebbe attuare meccanismi per vagliarne proe contro. I maggiori sostenitori sono i presidenti della Serie A, attratti dall’idea di avere un ruolo nell’utilizzo della tecnologia.
Così nasce lo sfogo mercoledì sera del numero uno del Napoli, Aurelio De Laurentiis, dopo che l’arbitro Giacomelli ha ignorato un placcaggio in area dell’atalantino Kjaer ai danni del napoletano Llorente, da cui è scaturito il pareggio dell’Atalanta al San Paolo. Episodio vivisezionato da tutte le tv ma che il direttore di gara ha rivisto solo nello spogliatoio sul proprio telefonino, non in campo.
In realtà l’unico errore certificato della giornata di campionato è stata l’espulsione del romanista Fazio a Udine, visto che sull’episodio di Napoli pesa un fallo in attacco. Ma negli occhi di tutti resta un mercoledì nero. E se il rivedere gli episodi non avrebbe cambiato l’orientamento dei fischietti, magari avrebbe rasserenato Ancelotti (fermato per un turno dopo essere entrato in campo per calmare i suoi). Anche questo aveva spinto tempo fa l’Italia (tra i pionieri del Varche ottenne di sperimentare già nel 2016/17) a promuovere una discussione intorno al challenge nel calcio.
La proposta era di concedere una o due chiamate per tempo agli allenatori che “obbligassero” l’arbitro a rivedere l’episodio incriminato. La proposta fu argomento di valutazioni internazionali, ma non accolta. Perché il calcio ha scelto di non seguire quella strada? Perchè concedere il challenge vorrebbe dire certificare una sfiducia verso il Var. Che, a differenza di quanto avviene nel tennis o nel volley, già oggi vede e controlla silenziosamente tutto: imporre all’arbitro di rivedere i casi vorrebbe dire sfiduciare chi è al monitor.
Per introdurre il challenge bisognerebbe quindi cambiare il regolamento, togliendo la visione continua che garantisce uno zoom su ogni singolo episodio, per far posto a una moviola più “soft”. Chi avanza le richieste avrebbe poi un’aspettativa che, se insoddisfatta dalla decisione finale potrebbe far scaturire lamentele anche più accese. Per non parlare della possibilità che un allenatore affidi il monitoraggio degli episodi a un suo consulente esterno seduto al video, dove si valutano situazioni di gioco oggettive.
L’idea del challenge ha un vantaggio evidente, però: rendere più trasparente la procedura di visione degli episodi chiave, in attesa della sala unica del Var a Coverciano: la stanza in cui dal 2020 verranno rivisti tutti gli episodi, e che permetterà di assistere alle decisioni degli arbitri in diretta. Il Var del Var, cui però nessuno potrà dire cosa andare a rivedere.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci