La televisione genera mostri (e mostre). Lo sappiamo, mai abbastanza. Un tempo, questi mostri, avevano addosso l’aura. Erano intangibili, vagamente sacri, e quando li toccavi ti frustava il brivido dell’allocco. “Toh, esistono…forse”. Oggi, gli stessi o diversi mostri, hanno addosso il lezzo della porta accanto. Tanfo di miseria. Di cose scadute. Solo loro non lo sanno. Li vedi agitarsi dentro lo scatolone. A vendere patacche.
A rimestare nemmeno più il torbido, solo lo sconcio. Poveracci disposti a trasformarsi in cimici da luna park pur di elemosinare uno spicciolo di celebrità. Mentre il mondo li ha già sorpassati in tromba e spediti nel trapassato. Una bacheca di vecchie storie fumate. Un circuito di poveracci. Da quelli che fanno la fila davanti alla Charitas Rai o Mediaset a mendicare una telecamera a quelli che, davanti allo scatolone acceso, aspettano di morire. O sono già morti.
A tenere il guinzaglio di questa miseria pubblica da tivù terza, terzo mondo, terza età, terzo estraneo, ridotta a intrattenimento da centro anziani, un piccolo esercito di agguerritissime ex ragazze, oggi attempate professioniste del video, più o meno indistinguibili, salvo il cognome, qualche volta il nome. Ma spaventosamente medesime nello stile e spesso anche nella faccia (ma qui siamo in territorio chirurgico). Stile che definirei “easy dirty”.
E cioè quel cazzeggiante surfare sul nulla antologico delle battutine ammiccanti, battute da caccia, da lolite sempre nella posa di sedurre lo scemo di turno, abbonato suo malgrado, cosucce, chiosucce e mossettine da repertorio. Deriva malinconicissima delle ninfette inventate e ammucchiate più di vent’anni fa dalla geniale e un po’ criminale coppia Boncompagni Gianni&Ghergo Irene. Tutto nasce da lì.
A proposito di giochi di coppia. Tutto questa pallosa ma necessaria introduzione per introdurre una di loro, Ilare Blasi. Di questi tempi gettonatissima per due eventi che la riguardano, la conduzione dell’ultima giostra per sfigati in crisi d’astinenza e il quarantesimo compleanno del suo Pupone. Nell’intervista alla Gazzetta, la iena fa la pipì fuori del vasino, versandola, la pipì benzina, nelle fiamme di una Roma calcistica che già di suo brucia di cazzate e comunque brucia, più che altro nel nome di Totti, specie di questi tempi e uno Spalletti mai così debole.
Il guaio di queste benedette ragazzacce (ma vale anche per i ragazzacci) televisivamente sovraesposte è che dopo un po’ non sanno più distinguere, vivono come se avessero sempre una telecamera puntata addosso. Trasferiscono il loro essere per la telecamera nel loro essere per chiunque e ovunque. In due parole, nell’intervista più antiromanista degli ultimi dieci anni, la consorte del romanista simbolo, demolisce i vertici della Roma, dando di fatto dell’ebete a Pallotta (“Deve pensare prima di parlare”) e l’equivalente del miserabile a Spalletti (“Con Francesco è stato un uomo piccolo”).
“Uomo piccolo”, se tu non sei Pupo, è un insulto sanguinoso. Anche l’altro a Pallotta, non scherza. Due notevoli insulti. Ma lei, Ilare, li ha mollati ai cronisti della Gazzetta con la stessa leggerezza birichina con cui dispensa le sue moine televisive. Libera di farlo, certo, ma irresponsabile, sicuro, se si pensa a quanto sia sensibile il tema Totti nella città della faida eterna.
Quattro domande per chiudere.
1. Come ha reagito Francesco Totti questa mattina leggendo sulla Rosa l’esternazione della sua amata?
2. Come hanno reagito Pallotta e Spalletti, uomini notoriamente molto ma molto sanguigni?
3. Perché proprio adesso? Sei mesi dopo il fattaccio (lo sfratto da Trigoria del capitano) e quando pare quanto meno rimarginata la tenzone Spalletti-Totti.
4. L’esortazione che Ilare fa a Pallotta (“pensi prima di parlare”) va eventualmente applicata anche a se stessa?