Ebrima Darboe, 19 anni, nel giro di pochi giorni è passato dall’esordio in Serie A con la Sampdoria a quello in Europa con il Manchester United. Il ragazzo nato il 6 giugno 2001, cioè undici giorni prima che la Roma vincesse il terzo scudetto, ha respirato la prima aria a Bakoteh, in Gambia, dove è rimasto fino a 14 anni, prima che s’incagliasse in quel bivio che nessuno di noi vorrebbe mai incontrare: partire o morire. Partire, allora, viaggiando fino in Libia, e poi salendo su quei barconi che ormai a tanti di noi non fanno più effetto. Il bagaglio di Darboe, in fondo, era uno solo: il sogno del calcio.
“Lo avevo fin da piccolo – ha raccontato –. In Africa è difficile giocare a grandi livelli se non hai aiuti. C’era un mio amico, in Gambia, che mi ha spronato tantissimo, mi ha detto che avrei giocato in Europa. I miei mi hanno aiutato, ma non è stato facile per i documenti. Sono fuggito con due amici, è stata dura, ma ringrazio Dio e l’Italia”. L’Italia che presto significa un centro di accoglienza in Sicilia, quindi lo Sprar: “Lì ho conosciuto un talent scout che mi ha cambiato la vita”.
Alla Roma è arrivato dallo Young Rieti, allenato da Francesco Spognardi. Lì ricordano come il baby si facesse chiamare Ibra. Un provino rovescia il suo destino. Il club giallorosso lo ha tesserato e fatto studiare al liceo sportivo, facendolo cominciare a crescere in tutti i sensi, anche quello fisico. A 19 anni, anche se si è centrocampisti dai piedi buoni, il mondo ringhia e invade la testa. L’Africa è lontana, ma così presente. “Il suo spirito è con me ogni giorno”.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini