Anche se i goleador sono ormai dispersi, le prospettive azzurre sono rosee. L’ossimoro della Nazionale si spiega col gioco convincente e con la prossima scadenza: il 2 dicembre, a Dublino, sarà una tra le 10 teste di serie al sorteggio dei gironi di qualificazione a Euro 2020, in cui finire nel gruppo con Germania dalla seconda fascia e Serbia dalla terza è la peggiore probabilità, in mezzo a tante altre statisticamente migliori. Inoltre l’Europeo a 24 squadre che si profila – basta classificarsi tra le prime 2 del girone o in caso di congiunzioni astrali impensabili ricorrere ai play-off – appare assai poco itinerante. L’Italia è infatti già potenzialmente assegnata al gruppo A, quello di Roma e Baku, e sa di potere giocare almeno 2 partite della fase a gironi all’Olimpico, con alte probabilità di giocarci anche la terza, più l’eventuale quarto di finale: con certezza, per regolamento, se l’Azerbaigian non si qualificasse (mediocre il rendimento nella serie D della Nations League), oppure al 50% (ci sarebbe un sorteggio per la sede tra Roma e Baku), se gli azeri riuscissero a entrare tra gli eletti. Mancini non si esalta: «Bisogna cominciare a segnare». Dopo la terza vittoria da ct, acciuffata grazie a un guizzo di Politano dentro l’imberbe difesa degli Usa, si è concentrato sui lavori in corso. La Nazionale, sopraffatta dal Mondiale mancato, in pochi mesi ha trovato un gioco frizzante, un centrocampo tecnico e una notevole capacità di difendere: da 3 partite la porta è immacolata. Però fatica a tradurre in gol l’egemonia, attestata anche a Genk dal possesso palla superiore al 70%.
Per questo, dopo 9 partite, il Diogene di Jesi cerca ancora l’uomo: un attaccante che non spari il pallone sul portiere o fuori. Stavolta lo ha scovato in panchina col lanternino, a 3’ dalla fine, nell’esterno Politano. Sono già 18 gli attaccanti convocati in 6 mesi e il diciannovesimo, El Shaarawy, si staglia all’orizzonte a marzo, quando inizieranno le qualificazioni all’Europeo (Trieste, Roma, Torino e Palermo i possibili stadi per le gare casalinghe). Il setaccio è indirizzato principalmente a un centravanti: il ct lo vuole prolifico e soprattutto tecnico, per non azzoppare l’azione. In assenza dei requisiti, ha virato sul falso nueve. L’ elenco degli esaminati è esteso: Balotelli, Belotti, Cutrone, Giovinco, Kean, Lasagna, Pavoletti, Pellegri mai visionato per infortunio, Zaza e Immobile, avvantaggiato dal curriculum con la Lazio. Nessuno ha convinto il ct, indotto anche dagli errori di Lasagna al lancio accelerato del diciottenne Kean. La chiosa è duplice: «Vorrei rivedere Pavoletti, che non ho potuto mettere in campo perché non stava benissimo. E spero che Balotelli abbia capito che non potrà più essere sovrappeso».
La giostra, dunque, riparte, col conforto di un precedente illustre. Dal 1974 al 1976 Bernardini e Bearzot raccolsero le macerie del Mondiale tedesco e si dedicarono con successo alla priorità del gioco, attraverso tappe sconfortanti (valga per tutte lo 0-0 del ’75 con la Finlandia a Roma) e analogo digiuno degli attaccanti. Ne venne schierato un congruo numero, inclusi i più stagionati: Boninsegna, Prati, Chinaglia, Anastasi, Damiani, Savoldi, Chiarugi, Pulici, finché la coppia Graziani-Bettega non meritò la promozione. Poi, il 21 dicembre 1977, nell’amichevole vinta in Belgio con gol di Antognoni, spuntò Paolo Rossi, futuro Pablito.