Diciamoci la verità, ieri sera non era facile giocare la partita per Edin Dzeko. Un’estate infinita. Le voci di un dissidio insanabile con Fonseca, conseguenza di quella serataccia contro il Siviglia. La panchina di Verona quando sembrava pronto a chiudere le valigie e prendere il primo volo per Torino. E poi, invece, il ritorno al passato: la maglia della Roma. La fascia di Capitano. La consapevolezza che i duemila occhi dei fortunati (o no?) presenti sarebbero stati tutti per lui, figuratevi le centinaia di migliaia davanti al televisore. Il pensiero, inevitabile, che poco più di una settimana fa questa partita secondo la Roma, secondo lui, secondo tutti, avrebbe dovuta giocarla dall’altra parte della barricata, con quella maglia bianconera che rimane comunque la più antipatica per un tifoso giallorosso.
Tutte cose che ci hanno accompagnato fino al fischio d’inizio con un paio di logiche domande: con che spirito Dzeko giocherà la prima, per lui, di questo campionato, proprio contro quella vecchia signora che sembrava destinata ad accoglierlo a braccia aperte? E, pure, come i pochi presenti avrebbero accolto il numero 9, lo straniero che ha segnato più gol nella nostra storia? La prima risposta l’abbiamo avuta subito, ma alla seconda domanda.
Perché alla presentazione delle squadre ci sono stati solo applausi per il bosniaco, forse il solo che li ha ricevuti, come a dire: Edin scordiamoci il passato, ora contano presente e futuro e sono entrambi colorati di giallorosso. Siamo pronti a scommettere che quegli applausi hanno contribuito in maniera determinante a prendere atto poi della risposta alla prima domanda. Cioè Edin ha giocato con lo spirito giusto, dentro la partita, soprattutto dentro la Roma, niente occhi bassi a guardare gli scarpini, l’evidente voglia di continuare la sua storia in giallorosso. È stata la risposta che ci aspettavamo.
Qualcuno, per carità, con il conosciuto sarcasmo romano, peraltro non sempre intelligente, ci dirà che di fatto Dzeko è come se avesse giocato con la Juventus, accollandogli la mancata vittoria. Conseguenza di quei due gol sbagliati nel secondo tempo che avrebbero chiuso, con merito, gioco, set e incontro. Due errori non da Dzeko. Due palloni capitati su entrambi i piedi, quelli che in passato ci hanno regalato gol da cineteca e un certo numero di soddisfazioni. Ieri sera, invece, quei piedi lo hanno tradito.
Prima tirando col mancino un pallone sul palo, dopo una splendida azione personale, a porta spalancata e con il polacco in porta della Juventus che già stava alle preghiere, e tutti noi che stavamo in piedi pronti a esultare. Poi il non richiesto bis con un destro di prima intenzione a una manciata di metri dalla linea bianca che ha avuto il torto di finire tra le braccia del polacco che è pure un ex. Lì, inutile nascondercelo, un po’ a tutti sarà scappato pure l’insulto, se non altro perché sarebbe stato il colpo del ko per i campioni d’Italia, che ieri sera all’Olimpico hanno trovato un punto che non sanno neppure loro come hanno fatto. (…)
FONTE: Il Romanista – P. Torri