Che il suo fosse un percorso da predestinato, lo si capisce in fondo da un particolare. La quasi totalità dei calciatori esordisce in prima squadra in campionato e poi, se merita, approda anche alle competizioni europee. Invece per Daniele De Rossi il destino ha scelto un percorso controcorrente: «vernissage» internazionale (30 ottobre 2001: Roma-Anderlecht 1-1 di Champions League) e «presentazione» in Serie A oltre un anno più tardi (25 gennaio 2003: Como-Roma 2-0, giocata sul neutro di Piacenza). Ecco, da quel giorno è cominciato un conteggio che sta portando lontano e che domani all’Olimpico contro il Pescara arriverà a 400, ovvero le presenze in campionato del capitano giallorosso. In quasi 14 anni da quella malinconica serata piacentina, riteniamo che la vita, a Daniele, molto abbia dato anche se nulla è stato concesso senza pagare un prezzo. Fare il calciatore professionista è di sicuro un mestiere da privilegiati però – quando si ha consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo – non è escluso che vedere il «giocattolo» dall’interno, con tutte le inevitabili storture e contraddizioni, possa portare anche allo sfarinarsi di un certo numero di illusioni. La perdita dell’innocenza, in fondo, è anche questo.
GRAZIE PEP – Ma che De Rossi abbia sempre sprigionato intorno a sé un’aura particolare, lo rivela anche un piccolo episodio che sembra quasi raccontare il calcio come passaggio di testimoni fra campioni. Quel gennaio di tanti anni fa, in realtà Daniele non doveva giocare. Al fianco di Dacourt e Tommasi stava per toccare a Pep Guardiola. Lo spagnolo, però, il giorno precedente aveva trovato l’accordo per trasferirsi a Brescia, visto che nella Roma il suo impiego fino a quel momento era stato minimo. Venendo psicologicamente a mancare il carisma dell’ex del Barcellona, Fabio Capello non si perse d’animo e lanciò «il biondino», che a 19 anni in allenamento si muoveva già come un veterano.
IL RINNOVO – Quattrocento partite più tardi, nel calcio adulto Daniele ha vinto la cosa più importante di tutte: un Mondiale. Chi pensasse, però, che questo possa aver in qualche modo placato la sua voglia di vincere uno scudetto, sbaglierebbe davvero tutto. Per De Rossi la Roma è una sorta di ossessione amorosa e così, a sette mesi dalla scadenza del suo contratto, nessuno si meraviglia più di un rinnovo possibile. Anzi, forse vicino. Certo, un prolungamento stopperebbe forse per sempre anche la sua curiosità di un’esperienza nel calcio Usa, ma in fondo significherebbe anche altro, ovvero la voglia di non interrompere la caccia al sogno, di non arrendersi al destino che queste 400 partite di Serie A non abbiano portato finora a nessuno scudetto.
VERSO IL PESCARA – Domani sulla strada della Roma ci saranno molti volti noti. Aquilani, Pepe, Crescenzi, Pettinari, Caprari, Verre e Pigliacelli sono tutti frutti del vivaio giallorosso che adesso, in misura diversa, alimentano le ambizioni del Pescara. Con tutte le differenze del caso, in ciascuno di loro De Rossi potrà specchiarsi per ricordare da dove era partito, quali tappe ha consumato e dove gli dei del calcio lo hanno condotto. Un viaggio di 13 anni può essere lunghissimo, ma anche breve. Una cosa è certa: per lui (e per chi ama il calcio) è valsa la pena di farlo.