Risulta ogni giorno più chiaro il progetto a medio-lungo termine al quale accennò, nel corso della sua presentazione, Tiago Pinto, il responsabile dell’area tecnica della Roma “strappato” al Benfica dove non è mai stato il responsabile dell’area tecnica, ma questo non è che un dettaglio: chi mastica il portoghese (Primeira Liga) sa bene che da anni la campagna acquisti delle Aguias è territorio esclusivo del presidente Vieira (con la collaborazione costante di Jorge Mendes). Pinto – lo ricordo – arrivò grazie a un headhunter, un cacciatore di teste: i Friedkin si rivolsero alla Retexo Intelligence, la società fondata da Charles Gould «con l’obiettivo di aiutare gli investitori a operare nel calcio. I consigli che diamo si basano sui dati raccolti negli ultimi dieci anni» la sottolineatura di Gould, «quello che accade prima non lo consideriamo rilevante».
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Gould indicò peraltro quale prima scelta il quarantenne Javier Ribalta, formatosi nel Liverpool di Benitez e per cinque anni assistente di Marotta alla Juventus della quale era capo degli osservatori – Ribalta è attualmente allo Zenit. Il progetto, dicevo. Prima di tentare di costruire la squadra del futuro prossimo Pinto ha pensato bene di demolire il poco – o il molto – di buono fatto da Guido Fienga, l’amministratore che consentì alla società di evitare il fallimento gestendo il passaggio non proprio indolore da Pallotta ai Friedkin.
Un paio di esempi, tanto per gradire: Pinto ha reso praticamente inutile l’incontro di inizio ottobre a Udine tra Ryan e Allegri, propedeutico all’arrivo a giugno dell’allenatore dei sei scudetti (uno con il Milan e cinque di fila a Torino); e di recente ha negato il rinnovo a Antonio Mirante, figura rilevante nello spogliatoio del quale è uno dei più ascoltati; rinnovo che gli era stato promesso dallo stesso Fienga nella fase pre-Pinto. Inevitabile l’incazzatura del gruppo: quando la squadra non si fida più dei propri interlocutori societari, sono guai.
Per il dopo-Fonseca Pinto, che dà grande spazio a dati, statistiche, proiezioni e algoritmi, si era inizialmente orientato sul 44enne Marco Rose e sul trentatreenne Julian Nagelsmann. Rose ha però deciso di trasferirsi da un Borussia (‘gladbach) all’altro (Dortmund), mentre il tecnico del Lipsia sta continuamente trattando con Bayern e Tottenham. Costretto a spostarsi su altri obiettivi, il Nostro ha anche pensato all’ex laziale “mangia-Juve” Sergio Conceiçao, molto gradito alla piazza. Sì, ma a quell’altra. Per inciso, Conceiçao sta discutendo il prolungamento del contratto con il Porto.
A sostenere Pinto è soprattutto Ryan Friedkin, appassionatissimo di calcio e numeri (se fosse nato dalle nostre parti avrebbe reso felice il grande Rino Tommasi): Ryan ha l’entusiasmo dei giovani, ma anche l’inesperienza di chi, atterrato su Marte, per via della pandemia non ha avuto l’occasione di incontrare i marziani. Sia chiaro, Pinto non ha ancora quarant’anni e ha in mano, almeno nominalmente, i destini tecnici di una delle società più importanti d’Italia: gli si deve concedere il diritto di sbagliare. Non quello di eccedere, però. In piazze come quella di Roma il buonsenso, l’umiltà e il rispetto della competenza altrui sono molto più efficaci della presunzione e della voglia di fare. Come disse il saggio portoghese: «A presunção é a mãe de todas as asneiras». La presunzione è la madre di tutti gli errori.
Ma c’è di più: ho la sensazione che i Friedkin abbiano preso Tiago Pinto, figura non troppo ingombrante, per occuparsi di tutto, anche delle scelte di natura tecnica. Lo conferma il fatto che molto spesso agiscono in prima persona (Reynolds e El Shaarawy li hanno voluti loro), ovvero senza l’intervento del diesse. Fare calcio – ma anche politica sportiva, occuparsi delle beghe della Lega – è la cosa più complicata e spesso sgradevole del mondo: la convinzione di aver capito tutto nel giro di pochi mesi può procurare danni di insospettabile portata.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni