La ricerca della perfezione sarà pure un modello di vita consigliabile, ma è molto spesso l’anticamera di una profonda delusione se non è accompagnata da punti fermi. Ecco, forse il nodo è tutto qui. È tutto dentro una Roma a cui non solo non è giusto chiedere la perfezione. È una squadra che non sa e non può neppure cercarlo, quel Paradiso. Non sa gestire quella ricerca non perché non voglia farlo, semplicemente perché non è nelle sue possibilità, nelle sue corde. Il problema non è la sconfitta con l’Atalanta, non è un secondo tempo in cui la squadra sparisce, non sono i cambi di Spalletti o i gol sbagliati da Salah. Il problema è a priori. È nel non prendere coscienza dei propri limiti e di conseguenza dichiarare guerra al mondo: naturale poi, ancor prima che sbagliato, che ogni passo falso venga considerato e digerito come una disfatta.
IL NODO – Tutto qui, niente più. Il punto sta nel credere che basti un mese e mezzo per sentirsi alla pari di chi ha cinque scudetti di fila sulle maglie. Perché se le parole hanno un peso, questo è il concetto che nelle due settimane di sosta è circolato forte a Trigoria. Siamo cresciuti, l’aria è diversa, ce la giocheremo alla pari con la Juve. Attenzione: alla pari nella migliore delle ipotesi, perché qualche autorevole voce ha pure provato a spingersi oltre, della serie «siamo più forti noi, ci manca solo la continuità». Pensa: con la continuità si vincono gli scudetti. E il guaio non è che la Roma non ne sia dotata. È che la Roma creda – e faccia credere – di averla raggiunta, come se mancasse la coscienza dei propri limiti. O che ci si voglia convincere di aver completato un puzzle da mille pezzi in dieci minuti. Non si può, non si potrebbe comunque perché un pezzo a questa Roma sembra mancare sempre.
PAROLE PAROLE PAROLE… – L’insoddisfazione, il cielo grigio del lunedì post Atalanta è tutto nel non aver dato seguito alle promesse. Che vengono in fila dopo quelle storiche di James Pallotta («Vogliamo diventare un top club mondiale»), di Luciano Spalletti («Non sono tornato qui per altri secondi posti») e di una serie infinita di giocatori, uno dopo l’altro. La sconfitta di Bergamo non è in linea con quelle parole. È invece perfettamente dentro ogni discorso di secondo posto: con questa Atalanta che corre senza soluzione di continuità si può cadere. L’ha fatto il Napoli, come pure l’Inter, due delle rivali (almeno inizialmente) nel campionato del secondo posto, quello che ti permette di stare un gradino sotto la ricerca della perfezione. Occhio, non è arrendersi. È, molto più semplicemente, evitare che una città da sempre abituata agli up and down non si senta giustamente autorizzata a credersi da scudetto un giorno prima e «solo» da Champions il giorno dopo. Lo dice pure qualche numero, peraltro. Lo straordinario rendimento di Spalletti da gennaio a oggi ha prodotto 72 punti in 32 giornate: tantissimi, certo, ma comunque 13 in meno degli 85 di Allegri. E 7 in più del Napoli. Ecco perché forse sarebbe stato bene tenere nel cassetto quelle parole sullo scudetto e sulla Juve. Altrimenti, è un po’ come dar ragione a Rudi Garcia, che considerava le dichiarazioni pubbliche giusto una parte da recitare e niente più.