Va bene così, dai. Per come si era messa doveva andare meglio, per come è proseguita poteva finire male. La Roma strappa a Oporto un pari con gol, e la rete in trasferta nelle coppe ha grosso peso specifico. Se alla vigilia le possibilità di qualificazione erano cinquanta per uno, oggi siamo a 60-40 per i giallorossi. Martedì all’Olimpico basterà lo 0-0 per entrare nei gironi della Champions, anche se la Magica per costituzione e storia non è squadra che sappia gestire situazioni ed emozioni. Qui al Dragao si è vista una partita divisa in due, con un tempo a contraddire l’altro. Tutta colpa di Vermaelen: il belga preso per solidificare la difesa, in Portogallo ha rischiato di liquefarla e c’è voluta l’esperienza di De Rossi per tenere lo scafo in linea di galleggiamento.
PREDOMINANZA – La Roma è partita sparata, con cipiglio e puntiglio. Spalletti ha disorientato il Porto piazzando Nainggolan alle spalle di Dzeko, con funzioni di disturbo nei confronti di Danilo Pereira, il metronomo dei portoghesi, e con ampia facoltà di inserimento una volta riconquistata palla. In Serie A tale mossa si era già vista nella scorsa stagione, quando Nainggolan in alcune circostanze aveva agito quasi da punta pura. Forse Nuno non si aspettava tale sfacciataggine, di sicuro nei primi quaranta minuti il Porto si è ritrovato imbambolato alle corde, con la Roma signora e sovrana. E qui però bisogna muovere i primi appunti: tanta superiorità andava messa nero su bianco, non si doveva trasformarla nel festival dello spreco. Non è possibile che il dominio abbia fruttato soltanto l’autogol del vantaggio. Pareva quasi che Felipe, con quel tocco, volesse sdebitarsi: visto che non ce la fate da soli a mietere il grano vi do una mano io. Dzeko more solito tra gli indiziati principali, il bosniaco si è divorato un altro gol a porta spalancata – ha tirato addosso a Telles in disperata scivolata sulla linea –, ma prima di crocifiggerlo si calcoli che l’opportunità il centravanti se l’è costruita da solo, seppure con la complicità di Casillas. Neppure Salah ha brillato per cattiveria balistica, ma l’uno e l’altro, l’egiziano e Dzeko, si sono ammazzati di lavoro, per cui è difficile bocciarli. Il pasticcio vero l’ha combinato Vermaelen. In chiusura di tempo il belga ha letto come peggio non avrebbe potuto un lancio di Herrera per André Silva. Si è fatto circumnavigare dall’attaccante e vistosi perduto l’ha atterrato al limite dell’area con colpo da taekwondo, così si è preso il sacrosanto secondo giallo e ha lasciato i compagni in dieci. A quel punto è cominciata un’altra partita.
SOFFERENZA – Da dominatrice la Roma si è scoperta dominata, in balia delle furiosissime sfuriate «portuensi». In avvio di ripresa il Porto ha trovato subito l’1-1, ma l’arbitro ha annullato per giusto fuorigioco dopo lungo conciliabolo con assistenti vari. Il pari è arrivato poco dopo su rigore, gentilmente offerto da Emerson con un tocco di braccio. E detto tra parentesi, è curioso che alla fin fine il risultato di una partita tanto combattuta sia stato deciso da due reciproci regali. Per tutto il secondo tempo il Porto ha attaccato come se non ci fosse stato un domani e la Roma ha resistito grazie a Spalletti e a De Rossi, l’allenatore in panchina e l’allenatore in campo. Spalletti si è giocato al meglio i cambi di sistema e le sostituzioni. De Rossi, nei momenti più difficili, ha fatto valere il suo immenso software di esperienza, gli è venuto naturale farsi trovare sempre nei posti giusti ai momenti giusti. È stato il difensore in più di una difesa troppo nuova per essere già del tutto affidabile e il centrocampista alfa, l’uomo al quale affidare la gestione dei palloni più scottanti in ripartenza bassa.
CONCLUSIONI – Difficile stabilire dove andrà a parare la Roma, al di là del ritorno col Porto. Pjanic è fuggito alla Juve e la squadra ha perso grazia e bellezza. Strootman però è ritornato se stesso e con lui la Roma ha accresciuto forza e muscolatura. Manca la controprova, ma sospettiamo che con Pjanic e senza Strootman la Roma forse non sarebbe sopravvissuta alla tormenta del Dragao: una ripresa di pura sofferenza, giocata all’insegna di valori molto spallettiani. La squadra sta cambiando pelle e molto va sistemato, specie in fase difensiva, però il capitale umano sembra eccellente. Per completare il quadro servono un paio di terzini di ruolo e uno come Borja Valero. Per ottenerli è necessaria la Champions.