Adesso con la Roma dovranno tutti fare i conti. Adesso quella di Ranieri è proprio un’altra squadra, è trascinata da un fuoriclasse in forma debordante, Paulo Dybala, è assistita da un gruppo di ottimi giocatori di forma e di sostanza, è spinta da una filosofia di gioco moderna ed essenziale, e quando poi gioca all’Olimpico, sembra letteralmente trascinata dal vento del pubblico che soffia sulle vele. Ed è davvero consolante che le prossime tre partite saranno ancora in casa: contro Monza e Como per riguadagnare posizioni preziose in campionato e contro l’Athletic, per tentare ancora la scalata in Europa.
Quel che succede nel catino adagiato alle pendici di Monte Mario quando la Roma scende in campo, soprattutto di sera, e quindi sempre nelle partite internazionali, è ormai qualcosa di paranormale: nessuna squadra nelle partite di coppa ha vinto più dei giallorossi nelle partite casalinghe disputate dal 2017-2018. Un record pazzesco, confermato ancora una volta giovedì sera in una partita che pareva sin dall’inizio sotto il controllo della Roma e che si era però poi maledettamente complicata per il regalo che ha consentito a Samu Aghehowa di alimentare le speranze del Porto. Ma in quattro minuti Dybala ha rimesso le cose a posto e poi il coraggio, la determinazione e la sapienza tattica del gruppo hanno fatto conservare il vantaggio fino alla fine, rendendo irrilevanti le segnature successive di Pisilli e Rensch (nella porta sbagliata).
I numeri della sfida parlano chiaro: a partire dagli expected goal nettamente a favore (2,68 contro 0,56), ai corner (5 a 2), ai passaggi riusciti (457 a 332), ai tiri totali (addirittura 19 a 5), ai tiri nello specchio (4 a 1). Ma non è solo una questione statistica a sancire il primato della Roma degli ultimi anni nelle coppe rispetto anche a squadre molto più blasonate. In Italia come in Europa sembra difficile stare dietro al ritmo che impone la Roma alle sue gare in casa con la cadenza scenica che evidentemente fornisce il pubblico. E poi c’è la strategia tattica, anche quella di giovedì è stata vincente. Pressioni altissime sin dai primi minuti, tre attaccanti sui tre difensori, gli esterni sugli esterni, i mediani sui mediani, i difensori sugli attaccanti.
Quando rilanciava Diogo Costa la forma geometrica dei giocatori sul campo era curiosa, con sette coppie di giocatori a fronteggiarsi nei pressi dell’area del Porto e le restanti tre coppie della metà campo opposta. Il gol dell’1-1, ad esempio, è nato proprio da una riconquista alta del del pallone, caratteristica che con giocatori tipo Koné in mezzo al campo viene ormai spesso esaltata nelle transizioni. Avere poi un fuoriclasse come Dybala a disposizione è fondamentale. Oggi è come avere Messi nei suoi giorni migliori. Con questo ovviamente nessuno vuol sostenere che la Roma che abbiamo criticato ad esempio dopo l’eliminazione in Coppa Italia col Milan un paio di settimane fa sia all’improvviso diventata una squadra capace di vincere le partite in calendario da qui a maggio. Ma di sicuro l’alchimia trovata negli ultimi giorni e l’ennesima euroserata da delirio hanno fornito un’altra bella iniezione di autostima. E con questa si può anche andare lontani. Anche se adesso arrivano i veri esami.
Ad esempio, preoccupa quella certa tendenza a subire le transizioni che tanto fa arrabbiare l’allenatore, giallorosso. Anche giovedì sera, nel post partita, Ranieri ha sottolineato la sua seccatura di fronte a certi comportamenti reiterati: «Sappiamo che soffriamo alcune ripartenze, eppure ancora insistiamo ad attaccare in maniera scriteriata anche quando siamo in vantaggio e potremmo consentirci un ritmo più basso». Chiaro il riferimento all’occasione del 2-2 che avrebbe potuto clamorosamente riaprire la partita. Ranieri in verità ha fatto riferimento anche ai rischi corsi sul 3-1 di cui però nella cronaca della partita non c’è traccia. L’unico sbilanciamento offensivo in doppio vantaggio c’è stato quando Celik si è spinto a sostenere l’azione sulla destra (e Ranieri mentre Zeki partiva allargava le braccia sconsolato), ma non c’è stata in quel caso alcuna ripartenza, anzi proprio il turco ha guadagnato un calcio di punizione dal limite a destra poi calciato da Soulé verso la porta.
E lo stesso gol del 3-2 non nasce da uno sbilanciamento ma da un errato posizionamento di Angeliño e di Ndicka. L’azione del palo di Agehowa invece è imperdonabile: su quel pallone rilanciato ancora una volta perfettamente da Diego Costa (che già all’andata, aveva fatto vedere la qualità delle sue rimesse lunghe) Celik era andato da terzo centrale ad accompagnare l’azione offensiva fin dentro l’area avversaria, lasciando a gestire dietro Mancini e Ndicka a un pericolosissimo due contro due che poi è diventato uno contro uno sul rilancio di Costa e ha favorito la percussione solitaria del giovane centravanti del Porto, bravo e fortunato a vincere contrasto con il difensore ivoriano. Il destino ha voluto stavolta che il tentativo si fermasse sul palo e lo scampato pericolo ha fatto tornare immediata la concentrazione ai giocatori della Roma, che poi hanno segnato con Pisilli il gol del 3-1, facendo di fatto terminare la partita con qualche minuto di anticipo.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco