IL VORTICE
– Era il 2011, Sabatini dalla Roma aveva appena ricevuto lo schiaffo fatale, quello che distrugge e innamora. S’illudeva di portare il Palermo in Europa e i tizi col giallorosso addosso, gli eterni sfortunati e sbigottiti vanno a perdere con la Sampdoria, rimettendoci uno scudetto, frantumando quel progetto fantastico, l’incarnazione stessa di Sabatini, la scoperta continua di piedi nuovi, il flusso di talento e denaro che diventa vortice di perenne creazione. Ma puoi riprovarci qui, gli dice James Pallotta che dopo lo definirà my man, e tutti insieme prendono uno altrettanto visionario, Luis Enrique, che consuma i tablet quanto Varter consuma il telefono. Non era neppure un inizio, era una storia impetuosa passata già attraverso la Lazio e l’Arezzo e una squalifica per violazione delle norme etiche sui giovani calciatori e un processo che praticamente lo assolse e altrettanto praticamente lo condannò. Alla Roma è tutta un’altra storia eppure Sabatini la rende simile a quelle di sempre perché ha capito che nel calcio di oggi o hai accesso a fondi senza fondo oppure devi prendere i Lamela, i Marquinhos, i ragazzini che sperano, e poi cederli per più denaro, molto di più. Gli americani hanno i soldi e li spendono, 73 milioni alla prima stagione, ma non sono senza fondo né distratti. Vedono che Sabatini con quei soldi ne produce altri, parecchi, quasi non importa come i ragazzi giochino. Persino dal birbante Osvaldo si ricavano prima gol e poi denaro.
LA RICERCA – Walter è questo, si fa chiamare Ualta e Warter ma resta se stesso, anzi modella l’ambiente a sua immagine. Prende Trigoria, ne fa casa sua, l’affumica con educazione, chiedendo sempre permesso prima di accendere, su tutto comanda. Probabilmente troppo. La fiducia immane nella propria competenza lo imbriglia sulle piste di Iturbe e Gerson, costosissimi e aleatori. Vuole riempire la Roma di filosofi e appassionati di teatro, come Rudi Garcia con il quale scambia chiacchiere di calcio e di letteratura. Puntella il bilancio sempre tremolante, ricostruisce dalle macerie della finale di Coppa Italia perduta contro la Lazio. Gli chiedono risultati a basso costo, lui li cerca in Maicon e persino in Dzeko, prendendolo a prezzo comodo. Solo una cosa non possono chiedergli: l’impegno a bassa intensità morale, la rinuncia a se stesso. Quando lo fanno il suo entusiasmo non si spegne, si fulmina. Ha visto arrivare la fine del campo, questa volta. Non si è fermato, ma lascia lì il pallone. Giocate voi, io ho altro da fare. Ho da sognare.