La prima mossa ufficiale l’ha fatta la scorsa notte Dan Friedkin: il magnate texano ha firmato l’offerta scritta per rilevare la Roma. Sul piatto 575 milioni di euro per prendersi il club giallorosso. È questa l’unica proposta “chiavi in mano”, che garantirebbe a Pallotta un incasso immediato: se firmasse, entro una settimana si vedrebbe accreditati i 177 milioni della sua quota (il resto riguarda la copertura del debito e una novantina di milioni per ricapitalizzare i conti agonizzanti della società.
Da alcune settimane però la fantasia di Pallotta è agitata da un nuovo scenario: un soggetto interessato alla Roma, che a differenza di Frîedkin non ci è arrivato passando dall’advisor Goldman Sachs. L’imprenditore del Kuwait Fahad Al-Baker. A veicolarlo a Pallotta attraverso un suo uomo di fiducia è stato Massimo D’Alema. Già l’anno scorso l’ex premier si era fatto mediatore per un incontro tra l’ambasciatore kuwaitiano e una delegazione della Roma, documentata da foto e resoconti.
Oggi, insieme all’ex ministro Pd Luca Lotti (che però nega coinvolgimenti), ha favorito il dialogo, che si è concretizzato alcuni giorni fa in un’offerta presentata da Al-Baker e più alta di 30-40 milioni rispetto alla concorrenza, ma inevitabilmente subordinata allo studio più approfondito dei documenti. Il problema è che di tempo per effettuare una due diligence non ce n’è. L’offerta di Friedkin scade venerdì sera, data che a questo punto diventa una deadline anche per il gruppo del Kuwait.
Pallotta già ha fatto un passaggio con l’ambasciata del Kuwait negli Usa, da cui avrebbe ottenuto rassicurazioni sulla solidità del gruppo, a differenza di altri soggetti che a Goldman non hanno saputo dare prove di liquidità. Pallotta aspetta, non vorrebbe dare la Roma a Friedkin, anche perché, come gli ha sussurrato un amico, «se la Roma deve iniziare a vincere, è meglio che lo faccia con un arabo che con un altro americano».
FONTE: La Repubblica