Non lo confesserà mai nessuno, perché ogni allenatore sa che i risultati che ricerca dipendono in massima parte dalla qualità dei giocatori che ha a disposizione, eppure chiunque abbia mai gestito una squadra di calcio (ma il concetto vale anche per tutti gli altri sport di squadra) sogna di essere talmente bravo e convincente nella trasmissione dei propri concetti da poter ottenere risultati a prescindere da chi va in campo. È un po’ quello che sta accadendo alla Roma in questa prima fase di stagione, ma è anche quello che è accaduto nella fase finale della scorsa.
Dunque, delle due l’una: o l’assenza del pubblico ha un’evidente influenza sul rendimento della Roma (ed è questione che tenderemmo ad escludere) oppure Fonseca ha trovato la soluzione ad ogni problema che ha dovuto affrontare e i progressivi miglioramenti del gruppo (con il benefico innesto di qualche giocatore, Pedro su tutti) hanno stabilizzato le performances ad un livello decisamente alto.
Se è vero, come è vero, che sommando le ultime nove partite dello scorso anno e le dodici di questa stagione, solo una squadra ha messo sotto la Roma (il Siviglia agli ottavi di Europa League, e la Roma fece una pessima figura, ma contro una squadra in evidente stato di grazia che infatti è andata poi a vincere la coppa, mentre quest’anno, soprattutto nella Liga, non ha ancora trovato continuità di rendimento).
In totale sono arrivate 15 vittorie (su 21 partite) e 5 pareggi (uno dei quali trasformato in sconfitta a tavolino). Un rendimento di altissimo livello, non uguagliato da nessuno in Italia. Casualità? Se tre indizi fanno una prova, 21 reggerebbero qualsiasi processo. Ma per Fonseca gli esami non finiscono mai ed è capace che se dovesse andar male a Napoli qualche amico di Allegri tornerà a farsi vivo.
Il record di Cluj Nel frattempo però la Roma macina chilometri e supera ostacoli che è una bellezza. A Cluj ha firmato un’impresa che non le era mai riuscita nella storia: qualificarsi nel suo girone europeo (comprendendo Europa e Champions League) già dopo 4 delle 6 partite da giocare. Ok, il girone non è certo di quelli irresistibili e di sicuro vincere due volte contro i romeni che quest’anno sembrano in difficoltà anche nel loro campionato non è un’impresa da scrivere negli annali.
Ma è un fatto che la Roma in passato anche contro squadre di lignaggio chiaramente inferiore abbia sofferto per indolenza manifesta o per la scarsa attitudine agonistica di quelli che magari avevano giocato meno e venivano chiamati in causa saltuariamente e solo in questi casi. Basti pensare alle suggestioni che investiranno molti tifosi scaramantici quando a gennaio bisognerà affrontare in Coppa Italia lo Spezia.
E invece la partita di giovedì, che alla vigilia presentava diverse ombre rispetto al clima meteorologico e all’affidabilità di una Roma priva di otto giocatori (di cui cinque difensori centrali), si è rivelata più facile del previsto, con una vittoria mai in discussione e con il quinto clean sheet nelle ultime sei partite.
A vedere i numeri, qualche conclusione di troppo è stata persino concessa agli avversari, ma l’indice di pericolosità dei tiri è stato bassissimo (in totale appena 0,54 di expected goal) e comunque questo è avvenuto solo nella parte finale della partita a risultato acquisito e quando in campo c’era una squadra giovanissima con tre esordienti e diversi giocatori fuori ruolo.
Il calcio totale di Paulo Anche sul concetto del fuori ruolo poi si potrebbe discutere. È indubbio che per qualche posizione specifica si richiedano caratteristiche tecniche che prevedono per l’appunto il più alto grado possibile di specializzazione, ma quando una squadra funziona e pratica un calcio cosiddetto totale (definizione ereditata dal genio di Rinus Michels che ha inventato una filosofia calcistica che aveva tolto di punti di riferimento agli avversari e che prevedeva che tutti i suoi calciatori potessero interscambiarsi le posizioni sul campo in maniera incessante) allora anche la discussione su quale posizione sia più indicata per un giocatore o per un altro diventa sterile.
A Cluj Fonseca ha fatto giocare difensori centrali tre calciatori che hanno ottenuto massimi riconoscimenti in altre posizioni (Spinazzola, Cristante e Calafiori), ha messo esterno a destra un mediano come Veretout, a sinistra un destro come Peres, a centrocampo un difensore come Tripi e ha chiesto un continuo tourbillon ai suoi centrocampisti e ai trequartisti che infatti hanno occupato posizioni molto diverse nel corso della partita, cambiando continuamente il sistema di gioco da 3421 a 3142 a 3511. Qualcuno penserà che questo è stato possibile solo perché di fronte c’era il Cluj.
A noi è sembrato di vedere invece i prodromi di un calcio che Fonseca sta pensando in maniera diversa, da quando grazie all’enorme adattamento cui ti costringe il calcio italiano ha capito che non aveva più senso ragionare per schemi (e quindi l’intoccabile 4231 che lo aveva accompagnato per quasi tutta la sua carriera), ma per spazi, da riempire, svuotare e attaccare. Nasce così il suo 3421 totale, in grado di alternare e ruotare i protagonisti fino a rendere possibile l’utopia di vedere una squadra giocare senza tener conto del valore tecnico dei propri calciatori. (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco