Un paio di minuti prima delle 17, sull’Olimpico è tornato a splendere il sole. Alzi la mano chi, a conti e lacrime fatte, non abbia pensato questo quando ha visto entrare in campo il Capitano. Addio uragano sotto le pendici Monte Mario? Macchè: ecco l’uragano Totti. Che, a colpi di pennello, ha trascinato la Roma alla vittoria. Un film già visto, e ne sa qualcosa anche l’avvelenato Ferrero, tifoso romanista e presidente della Sampdoria, che vive di cinema. Là dov’è l’arte, nulla è impossibile. Perché meravigliarsi, allora, se un giovanotto di 40 anni (quasi…) continua ad essere il più bravo di tutti? Uno come lui, in questo calcio fatto di pochezze tecniche, di millantatori e sopravvalutati e di fuoriclasse del nulla, riesce ancora a fare la differenza con la pipa in bocca. Se mai, ci si deve interrogare su un’altra faccenda: possibile, come accadeva nel finale della passata stagione, che Totti debba ancora essere la mossa della disperazione (salvezza…) della Roma? Sarebbe bello, ne converrete, se Francesco non dovesse essere a 40 anni (quasi…) il salvatore della patria giallorossa. Dovrebbero essere altri, magari selezionati con cura e soldi dalla società, a risultare determinanti. Invece, tocca ancora a lui perché gli altri non sono come lui. A lui che resta in campo a riscaldarsi sotto la pioggia mentre tutti gli altri colleghi sono al calduccio dello spogliatoio; che si prende la fascia (la sua, però) che stava sul braccio di Florenzi e, petto in fuori, guida i suoi alla rimonta. Come se il tempo si fosse fermato, raccontano adesso gli adulatori a gettone. Magari gli stessi che, qualche mese fa, spingevano la società a cacciarlo perché era vecchio e finito e adesso si vantano di avergli fatto rinnovare il contratto. E lo stesso Jim Pallotta, che in serata gongolava per la vittoria maturata davanti ai propri occhi, era il primo (a pari merito, a Trigoria…) a volerlo pensionare. Non avevano fatti i conti, tutti, con troppe cose, in primis con l’essere profondamente, radicalmente, visceralmente romanista dell’ex ragazzino di Porta Metronia, uno che a 40 anni (scarsi…) continua a sentirsi, essendolo, il pischello più forte di tutti. E non avevano calcolato, tutti, che un uomo non ha età se l’età diventa solo il pretesto per farti sentire vecchio. «È il campo che decide, l’ultima parola spetta sempre al campo: se io sto in queste condizioni e la testa mi porta a fare questo perché smettere?», il suo interrogativo, più serio che faceto. Una provocazione? Lo scopriremo solo vivendo, come sempre. Dormite tranquilli, comunque: il Capitano non vive di invidia. Un altro gol vi seppellirà.
PENNELLATE D’AUTORE Troppo facile, per lui, cambiare il volto di una partita, anche se durata quasi tre ore tra gioco, stop e rigioco. Pennellate, dicevamo: come definire, del resto, quei suoi giochi di prestigio con gli occhi rivolti all’infinito e la palla precisamente sui piedi del compagno? Quella si chiama classe e, come il coraggio, chi non ce l’ha non può darsela. I numeri che accompagnano la carriera del Capitano sono sempre provvisori, guai posizionare la parola fine alle sue statistiche. «Io mi metto a disposizione della squadra, poi con classe, e un pizzico di fortuna, riesco ad aiutare la Roma. Ma le partite non le vinco da solo, servono sempre undici giocatori». Contro la Sampdoria ha fatto in modo che diventasse protagonista anche Dzeko, ad esempio. Poi, al momento di calciare il rigore, si è presentato sul dischetto apparentemente sereno. «In realtà avevo un po’ paura di sbagliare, e non mi capita spesso, ma stavolta volevo proprio coronare la partita con il gol decisivo sotto la mia curva e davanti ai miei tifosi. Temevo di non riuscirci..», la sua candida confessione. Pensate, uno che ha segnato 305 gol con la maglia della Roma che invece di campare di rendita ancora si preoccupa di non riuscire a regalare una gioia alla sua gente: uno così bisognerebbe clonarlo, dicono. Non ne nascerà mai più un altro, del resto, che a 40 anni (quasi…) nel giorno del suo esordio (esordio fa ridere…) stagionale lascia immediatamente il segno. Tutto il resto è, e sarà, soltanto noia. Oggi, come 25 anni fa, Totti logora chi non ce l’ha. E, forse, adesso anche qualcuno che ce l’ha.