Va detto con il sorriso e senza prendere la cabala troppo sul serio (per altro specialità della casa), ma Roma e la sua Storia, quella con la S maiuscola, hanno già cominciato a giocare con José Mourinho, il suo destino e quello della As Roma. Perché a meno di non voler immaginare una coltissima regia dei texani Dan e Ryan Friedkin o dei loro consiglieri (che, con tutta la considerazione, appare improbabile), lo sbarco a Ciampino dello Special One da Setúbal cade in un 2 luglio che esattamente 150 anni fa, 1871, vide la città, dieci mesi dopo la breccia di Porta Pia, aprire le porte ad un altro Re che coronava il sogno del Risorgimento. Vittorio Emanuele II. (…)
Il portoghese è uomo navigato e assai sveglio. E non gli è sfuggita l’enormità di quest’estasi da accoglienza. Che ha fulminato con una considerazione che vale più di un esorcismo. «Non merito così tanto affetto, perché devo ancora vincere», ha detto ha detto contemplando l’abbraccio arrostito da un sole assassino di migliaia di tifosi che, a dispetto dell’anniversario regale e risorgimentale, lo hanno omaggiato di un ritratto da Papa Re. Ecco, in quella separazione tra trionfo e vittoria, tra causa ed effetto, c’è non solo il problema di una squadra, lo scherno dell’altra metà calcistica di una città. Ci sono le chiavi di Roma. (…)
Ne avrà dunque di lavoro José. Ma non pensi di cambiare Roma e i romani. Ci hanno provato in molti e non è finita benissimo. Ieri l’onda si è alzata. Per restare sulla cresta e non farsene travolgere ci vorrà fortuna, pazienza e non dimenticare mai che a Roma il calcio non solo è una cosa maledettamente seria (lo è anche altrove). È lo specchio di questa città. E, in fondo, anche l’autobiografia della sua gente.
FONTE: La Repubblica – C. Bonini